Nelle immagini di Kurdistan24 il bambino è circondato da poliziotti, la maglietta del Barcellona gli è stata già tolta. Del nastro adesivo penzola insieme all’ordigno. Rimossa la bomba, il bambino in lacrime viene portato via. La notizia della cattura di un 11enne originario di Mosul a Kirkuk, in Iraq, ha fatto il giro del mondo. Un giorno prima un altro bambino è stato identificato come il responsabile dell’attacco a Gaziantep, in Turchia.

E appena un’ora prima nella stessa Kirkuk un kamikaze aveva attaccato una moschea sciita, senza provocare vittime.

Il ragazzino ha detto di essere stato rapito da uomini vestiti di nero e costretto a indossare la cintura esplosiva. Comunque sia andata, non è la prima volta che un bambino viene usato come soldato del «califfato»: in centinaia sono addestrati alle azioni militari nei campi gestiti dall’Isis in Iraq e in Siria, migliaia sono quelli indottrinati nelle scuole delle zone occupate. Molti rifugiati da Mosul o Fallujah raccontano che tra i motivi della fuga c’era proprio il timore che i propri figli venissero indottrinati in classe.

Se non a scuola l’occupazione dell’immaginario dei bambini avviene in piazza: sono spesso adolescenti gli «spettatori» obbligati delle punizioni corporali e delle esecuzioni compiute spesso sulle pubbliche piazze dall’Isis contro persone accusate di aver peccato.