Suzanne Duchamp (1889-1963), minore di due anni di Marcel, resta per lo più un’immagine distorta, quella fornita a suo proposito quando sia chiamata in causa dalla sterminata bibliografia sul fratello. La lettera che Marcel le invia nel gennaio 1916, da New York, un topos perché sancisce il protocollo esecutivo dei ready made, le assegna un ruolo ancillare. Nel ripulire lo studio parigino, Suzanne troverà una scolabottiglie «acquistato come una scultura già fatta»: si tratta di iscriverlo all’interno con un titolo che le verrà comunicato e di firmarlo «d’après Marcel Duchamp».
Peggio: muovendo dalla lettura del dipinto Jeune homme et jeune femme au printemps che Marcel le dona per le prime nozze nel 1911, Arturo Schwarz ha insinuato la sotterranea esistenza, o certo desiderio, di una relazione incestuosa fra i due, veicolata dal matrimonio alchemico, dall’unione fra il principio lunare del mercurio e quello solare dello zolfo, che il dipinto in una sua esoterica simbologia appare adombrare. Suzanne come anima che anela all’unione con l’animus del fratello, in un esito di simbiosi o totalità androgina. È un evidente leit- motiv nel lavoro di Marcel che appare ancora segnare la coppia, quando a fine guerra, fra 1919 e 1920, un’esile Suzanne, fisiognomicamente molto vicina al fratello, adotta a Parigi la pettinatura alla garçonne, mentre Marcel a New York assume il nome, e travestimento, di Rose Selavy, omofonia per Eros c’est la vie.
Frustrante emulazione
A prima vista, la testimoniata storia affettiva di Suzanne e il suo lavoro di artista appaiono rinforzare il copione. Con tre fratelli maggiori che ai primi del Novecento lasciano la nativa Rouen per Parigi per vivere d’arte, il suo percorso appare condizionato ab imis, nel senso di una difficile e forse frustrante emulazione, vissuta in provincia. Suzanne studia all’Accademia di Rouen dal 1905, pratica la pittura a margine nella dimensione famigliare, eppure vi investe un intento di affermazione, se nel 1912 riesce da Rouen a inviare tre dipinti al Salon des Indépendants, facendosi indicare da Marcel gli equi prezzi di vendita. Il tono spiccio, nella corrispondenza con cui Marcel l’assiste in questa impresa, è di una leggerezza paternalistica: Suzanne è sulla buona strada, disegna col colore secondo partiti cromatici amimetici, ma calibrati dalla logica interna del dipinto, è forte nella composizione. Di sicuro, come in Jeune fille avec un chien, Suzanne si arrischia a rifrangere in un vortice spiraliforme le figure, in modi pari ai colori sezionati dal prisma, in linea con il cubismo «orfico» di Delaunay e Kupka, frequentatori del cenacolo dei Duchamp nella loro casa di Puteaux.
L’incontro con Crotti
La guerra, l’impegno come infermiera in un ospedale parigino, la partenza di Marcel per New York nel giugno 1915, sembrano confinare irrimediabilmente Suzanne. Ma dall’autunno 1916 tutto cambia, e per i successivi sei anni, per tutta l’intensissima parabola del movimento dada, Suzanne sperimenterà, in prima persona, pressioni e pulsioni di un’accelerata emancipazione femminile quale poteva essere vissuta ed espressa nell’ambito di una pratica artistica di sperimentale quanto trasgressiva avanguardia. Incontra il pittore Jean Crotti, che, reduce dall’aver condiviso lo studio a New York con Duchamp, ne aveva adottato in opere polimateriche quanto esoteriche i diagrammi meccanomorfici traduttori di sensi erotici, allora introdotti da Marcel nel proprio, iniziale, lavoro al Grande vetro. Il retroscena privato, a conferma delle precedenti illazioni, sembra ancora una volta gravare su questo trio, in un gioco delle parti. Suzanne inizia una relazione con Crotti, la cui moglie, Yvonne, da cui egli divorzia a fine 1917, segue Marcel nell’estate 1918 in un trasferimento a Buenos Aires, un’avventura che avrà breve durata, mentre la prima coppia convolerà a nozze nell’aprile successivo, inaugurando uno stabile rapporto coniugale. Il tutto alla luce del sole, con pacifiche, reciproche accettazioni, come traspare dalla corrispondenza; solo che, ancora una volta, il dono di nozze di Marcel implica un messaggio secondo. Si tratta di un manuale di geometria che, secondo istruzioni, dovrà essere appeso dalla coppia al balcone della propria abitazione a rue Condamine, per essere sfogliato dal vento e dilavato dalle intemperie, un esplicito conflagrare di regola e caso. Il titolo, Instructions pour ready made malheureux, viene rovesciato dall’omofonia: mâle heureux, maschio felice; Suzanne ne fa un dipinto, a partire da una foto dell’installazione, appunto rovesciata.
Crotti, intraprendente e creativo, appare a tutti gli effetti una controfigura di Marcel, ma rassicurante, senza gli scarti e le ermetiche fughe in avanti di quest’ultimo. Ha una salda vocazione di pittore orfico, inteso a figurare, mediante dinamiche costruzioni geometriche, coni di luce e dischi rotanti, scenari di respiro cosmico, su cui innesta contrarie dissacrazioni dada, grazie a banali prelievi oggettuali e giochi verbali; a prima vista Suzanne, nel riprendere la pittura, fra 1916 e 1919, appare lavorare nella sua scia. Proprio queste prime opere, invece, rivelano un’identità femminile che non teme di rivelare la propria vulnerabile fragilità e che, insieme, costruisce e rivendica una propria autonomia esistenziale ed espressiva. I dipinti si inanellano alla stregua di un Journal autobiografico, chiariti dai titoli, annotati sulla tela con calligrafia nitida, del tutto alieni dalla sfide di senso perseguite dal fratello. Un et une menacés, Radiation des deux seuls éloignés, Multiplication brisée et rétablie, portano evidente traccia, nel loro riserbo, delle difficoltà patite inizialmente dalla coppia Crotti, costretta nello scenario della guerra a frequenti separazioni, e segnata da sciagure familiari oltre che collettive, quali la morte di Raymond Duchamp-Villon nell’ottobre 1918.
Il ruolo di «new woman»
Il coraggio di parlare di sé e dei propri affetti, di esporre la sfera privata, anche se in un linguaggio cifrato che, figurativamente, appare eludere o schernire ogni sincerità, viene con tutta probabilità a Suzanne dal suo assumere il ruolo della new woman, allora cruciale nel dibattito culturale a New York, e di cui sia Crotti che Marcel, frequentatori del progressivo circolo dei collezionisti Arensberg, potevano essersi fatti portavoce. L’impegno per l’emancipazione femminile, sostenuto nei diversi ambiti del diritto di voto, dell’accesso a professioni fino allora mascoline, dell’esercizio di pratiche contraccettive, si riverbera a Parigi nel citato modello della garçonne, spregiudicata e androgina, scelto da Suzanne proprio in concomitanza con il matrimonio. Ne sono indici gouache del 1919 che hanno il valore di manifesto, Give me the right right to life, il proprio volto costretto entro una rete, tagliata da una forbice, o l’Usine de ma pensée, farsi operaia alla catena di montaggio di un libero pensiero.
Fra 1920 e ’21, i Crotti assieme a Picabia espongono assiduamente ai Salons, costituendosi quali l’effettivo riscontro pittorico delle irrisioni dada, allora perseguite dalle movimentate serate animate da Tristan Tzara. A veder meglio, in tal quadro, Suzanne appare più coinvolta dall’antagonista fronte dei futuri surrealisti, André Breton e Philippe Soupault, il cui libro, Les champs magnétiques, del 1919, una prima riflessione sulle procedure della scrittura automatica, ne aveva da subito ispirato il lavoro. Ariette d’oubli de la chapelle étourdie, un criptico omaggio al marito, fatto di disseminati elementi iconici quanto polisemici, bersagli, ragnatele, archi tesi e frecce scoccate fra cieli stellati e cifre indecifrabili, è un esercizio superbo in tal senso. La pratica di Suzanne resta un attestato di indipendenza inteso come fedeltà a se stessa, un opporre sincerità e discrezione all’ironia e alla blague. Un movente che la indurrà a fine 1922, all’esaurirsi della stagione dada, a osare, senza pentimenti, il rientro in una pratica di pittura figurativa corrente, paesaggi, nature morte , figure, di gusto naif e tocco leggero.