È una ennesima brutta vicenda quella che circonda il viaggio europeo di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace ed eroina dei diritti umani ma al centro di polemiche roventi da tre anni da quando è cominciato l’esodo forzato della minoranza musulmana rohingya dal Myanmar verso il Bangladesh.

Più di un milione tra vecchi e nuovi profughi da un Paese dove ormai di rohingya non ce ne sono quasi più. Non contenta di essersi guadagnata questa fama, Aung San Suu Kyi è andata a trovare Viktor Orbán, primo ministro ungherese e ormai noto per il suo ipernazionalsimo sovranista e razzista.

La notizia ha fatto il giro del mondo soprattutto per quanto i due si sono detti. Si chiede ad esempio il catalano La Vanguardia: «Cosa unisce una Nobel e un politico autoritario come Orbán?».

La risposta è nella nota ufficiale riportata dai quotidiani locali: «Il primo ministro Viktor Orbán ha incontrato a Budapest mercoledì Aung San Suu Kyi, consigliere di Stato del Myanmar: hanno discusso di immigrazione illegale e dei legami bilaterali nei settori dell’economia, dell’istruzione e della cultura. L’immigrazione illegale – continua la nota d’agenzia – è una sfida primaria sia per il Myanmar sia per l’Ungheria, sia per il Sud-est asiatico che l’Europa in generale e il problema di come vivere insieme alla crescente popolazione musulmana è emerso in entrambe le regioni, ha detto Bertalan Havasi, portavoce del premier, riassumendo i colloqui che si sono svolti nell’ufficio del primo ministro».

Ogni commento appare superfluo. La vera preoccupazione del politico autoritario è della Nobel sembra dunque il percolo islamico: un pericolo che in Myanmar può contare su meno del 5% della popolazione – cui vanno sottratti un paio di milioni di rohingya – e che in Ungheria non appare nemmeno nelle statistiche per la percentuale risibile.

Ma Orbán è andato oltre: ha detto che Budapest «sostiene la cooperazione commerciale tra l’Unione europea e il Myanmar ma rifiuta «l’esportazione della democrazia e l’approccio di Bruxelles e di altri burocrati occidentali che cercano di mescolare questioni non correlate come la cooperazione economica con gli affari interni».

Una terminologia molto apprezzata dalla Nobel – dicono le cronache – ma che non si usa più nemmeno tra i Paesi del Sudest asiatico (Asean), noti per la teoria della non ingerenza negli affari interni (la Malaysia ha tacciato il Myanmar di politiche genocidarie).

Intanto nello Stato del Rakhine (terra dei rohingya e di altre minoranze) la situazione è sempre più tesa per lo strapotere dei militari, motivo per cui 45 amministratori di villaggio si sono appena dimessi, preoccupati per la loro incolumità personale in seguito agli arresti indiscriminati di colleghi nelle zone in cui combatte il gruppo ribelle Arakan Army.

Altri tempi da quando un’altra storica dissidente birmana, la giornalista Ludu Daw Amar, fece – nel 1953 – un tour europeo con le seguenti tappe: la World Democratic Women’s Conference a Copenhagen, l’International Youth Festival a Bucarest e a Budapest…la World Peace Conference.