«Se la lasci guidare distruggerà la macchina» dice al padre il fratellino di Muna, la protagonista di Saudi Runaway di Susanne Regina Meures (Panorama Dokumente). La sua è la battuta innocente di un bambino, che nel contesto dell’Arabia Saudita assume però anche un altro significato, legato alla condizione delle donne nel paese: quella dalla quale la protagonista desidera ardentemente fuggire. Muna è infatti una delle oltre mille giovani donne saudite che nel 2019 hanno pianificato la loro fuga: è lei a mandare alla regista i filmati che compongono il film, realizzati con lo smartphone nell’arco di tre mesi, da quando prende la decisione di fuggire a quando se ne presenterà l’opportunità, durante il viaggio di nozze organizzato dal promesso sposo. Alle donne, in seguito alle riforme di Muhammad Bin Salman, è ora consentito viaggiare da sole, ma non contro la volontà del proprio «guardiano»: quello di Muna è il padre, e dal matrimonio in poi sarà il marito. Oltre al suo coraggio, soprattutto nel voler raccontare la propria storia, il film testimonia infatti questa contraddizione fra le riforme cosiddette «progressiste» del regime e la costante sottomissione delle donne al volere degli uomini.

Come ha conosciuto Muna e scelto di lavorare a questo progetto?

Il mio film precedente, Raving Iran, era su due dj iraniani: mi interessano molto i sistemi repressivi, chiusi. E da tempo stavo facendo ricerca sull’Arabia Saudita, ma ogni mia richiesta di ottenere un visto è stata respinta. Poi c’è stata un’ondata di giovani donne che fuggivano dal paese, e ho capito che questo era l’argomento su cui avrei dovuto fare il film. Ho trovato il blog di un attivista saudita, che dava informazioni sui modi migliori per lasciare il Regno, e che ha creato una chat di gruppo con circa 350 persone: ho chiesto se fra loro ci fossero donne che stavano pianificando una fuga imminente. In tante si sono messe in contatto con me, mi hanno raccontato le loro storie, ed erano felici che qualcuno le volesse ascoltare. Ma nessuna era disposta a filmare: avevano paura, dicevano che era troppo pericoloso. Poi ho trovato Muna, che ha subito accettato perché voleva che il mondo sapesse quello che succede nel suo paese.

Una delle cose più sorprendenti è infatti quanto Muna sia disposta a rischiare non solo per scappare ma anche per raccontare la sua storia.

Era convinta che sarebbe stato difficile capire la sua scelta, il suo dolore e le sue azioni senza poter essere testimoni di ciò che accade nella sua vita quotidiana. Anche perché a livello emotivo è divisa fra due mondi: ama il suo paese e le sue tradizioni ed è molto attaccata alla famiglia. Ma d’altro canto le è impossibile vedere un futuro in Arabia Saudita, non accetta di trascorrere il resto della sua vita in gabbia.

Come avete lavorato a distanza?

Muna ha iniziato a filmare dal giorno dopo che ci siamo conosciute. Chattavamo quotidianamente per cinque o sei ore, e tutti i giorni mi mandava i filmati che aveva fatto caricandoli su dropbox e poi cancellandoli dal cellulare. Abbiamo cercato insieme un modo per riuscire a restituire le emozioni che stava attraversando.

Temevate che il film avrebbe avuto conseguenze per la famiglia di Muna?

È un argomento che abbiamo discusso a lungo, infatti abbiamo tenuto il minimo indispensabile di filmati in cui appaiono i suoi familiari, i loro volti sono sempre oscurati e i nomi cambiati. Inoltre ci rassicurava il fatto che tutto ciò che accade dentro la sua famiglia è conforme al sistema saudita, nessuno fa nulla di «illegale».

«Saudi Runaway» mette anche in luce la contraddizione fra le riforme in Arabia Saudita e la persistente condizione delle donne.

Le riforme – fra le quali quelle che permettono alle donne di guidare, di viaggiare, possedere un passaporto, andare alle partite di calcio – sono uno sviluppo positivo. Ma l’autorità maschile esercitata sulle donne dai loro «guardiani» non è stata minimamente scalfita. Per cui ti è consentito di viaggiare liberamente, ma se tuo marito è contrario potrà comunque impedirtelo. E non c’è ancora nessuna legge nel paese che obblighi gli uomini a riconoscere alle donne queste libertà, né che le protegga dal potere maschile.