Con Il saltimbanco e la luna (Incipit, Egea), la compositrice pianista e cantante Susanna Parigi rilegge in modo assolutamente originale il canzoniere di Enzo Jannacci, trovando chiavi canore inedite per brani come L’uomo a metà, La fotografia e Io e te. L’artista fiorentina di nascita ma milanese d’adozione, racconta del «suo» Jannacci e di come abbia affrontato all’inizio il progetto del disco, ideato e propostole da Andrea Pedrinelli, autore del libro per Giunti Roba minima (mica tanto). Tutte le canzoni di Enzo Jannacci.

«Ho conosciuto Jannacci ed è chiaro che ho avuto inizialmente remore e paure ad affrontare questa ’sfida’. La mia voce è completamente diversa e mi intimoriva il suo uso libero della metrica. Allora ho pensato di agire nel massimo rispetto dell’autore, e in questa modalità ho trovato la soluzione ottimale, visto che io stessa sono autrice di canzoni. Ho fatto in modo che il mondo di Jannacci e il mio trovassero un punto in comune».

Come incontrasti qualche tempo fa Jacques Brel cantando un’ottima versione de «La canzone dei vecchi amanti»… Tornando a Jannacci, quando Pedrinelli ha deciso di affidarti il progetto?

Circa due anni fa Andrea, che aveva già scritto su brani di Gaber e la musica d’autore, mi ha proposto di lavorare sulla produzione di Jannacci. Al momento sono rimasta stupita e mi chiedevo, Jannacci era ancora vivo, come fossero giunti a pensare che fossi io la persona adatta a cantare quei pezzi. Poi mi sono ricordata di quando Enzo mi diceva, ’sei la più pura nel cantare, nello scrivere canzoni’. Un’affermazione che mi ha confortato, così mi sono detta: perché non affrontare quest’impresa?

Scorrendo i titoli dei tuoi album e leggendo i testi delle composizioni, si scopre un’attitudine a raccontare storie di personaggi minori. L’impressione che dai è di riuscire ad entrare nelle vite quotidiane fatte di disagio e indifferenza…

Sì, e questo mi è servito a calarmi nel mondo degli «ultimi» cantati da Enzo. Io appartengo alla generazione successiva alla sua, ma ho avuto modo di vedere quelle persone che all’apparenza sembrano lontanissime da noi. Se penso a Vincenzina e la fabbrica, mi torna in mente lo sfiancante mestiere di mia madre che lavorava a catena in una sartoria di Firenze. Era in un sottosuolo e con altre donne cucivano incessantemente con orari impossibili e pause minime. Se le racconti nessuno ci crede anche se ora con la crisi tante di quelle situazioni sono tornate. Sto parlando di quelli che oggi chiamano «invisibili». E in un certo senso anche la figura dell’artista non ha più garanzie e rischia velocemente di scivolare in quel mondo, se non ci ha già messo un piede visto come la cultura è intesa nel nostro paese. E di questo parlerò nel mio prossimo album, Apnea in uscita tra circa un mese. Dopotutto, si sta parlando delle vite delle persone…

Ho trovato curiosa la scelta delle canzoni… poco stralunata e surrealista per come era conosciuto Jannacci, anche nel suo ultimo periodo di attività discografica…

Ho voluto far conoscere, come dire, Jannacci meno visibile e più emozionante, perlomeno così come emozionava me. Tutti pensano a Jannacci allegro, cabarettista, ma anche in quell’ambito l’autore non viene mai meno. Nel cd ci sono canzoni come Il cane e i capelli dove quella vena ironica e clownesca viene esaltata. Mentre La fotografia ogni volta che la eseguo o la ascolto da lui, mi comunica delle sensazioni sempre in modo diverso. Qui sento Jannacci molto affine al mio stile di scrittura e a come tendo a interpretare i pezzi».