Gli antichi ne erano consapevoli: occorre «sperare l’insperabile» (Eraclito, Frammento 18) per tentare di oltrepassare la finitezza e i limiti che, nella consapevolezza di tutte le culture, circoscrivono la condizione umana. A ricostruire la genealogia delle esperienze attraverso cui i Greci hanno teorizzato e praticato la trasformazione e la rinascita spirituale è il recente La via degli dei Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione (Carocci «Frecce», pp. 264, € 24,00), in cui Davide Susanetti, da tempo attento all’analisi delle ‘tecnologie del sé’ in epoca antica, dà voce a un aspetto centrale ma spesso poco approfondito della formazione della soggettività greca, quello legato alla dimensione esoterica dei misteri, della gnosi e dei percorsi iniziatici.

Superamento della dimensione umana, attualizzazione delle proprie potenzialità divine, ricongiungimento con la sfera celeste alla quale l’uomo, ‘dio mortale’, in origine appartiene: sono queste le tappe fondamentali della via degli dèi; e un vero e proprio itinerario è anche quello in cui Susanetti – che insegna Letteratura greca all’Università di Padova – coinvolge i suoi lettori, conducendoli attraverso una Grecia sotterranea e segreta, antitetica eppure complementare rispetto a quello che è spesso definito l’‘illuminismo ateniese’ di età periclea.

Quella di Susanetti, è bene precisarlo, è una grecità dai confini spaziali e temporali eccezionalmente estesi, che va dall’epoca arcaica al Tardoantico e si identifica con l’intero mondo di lingua ellenica. Proprio gli intensi rapporti con tradizioni culturali extragreche e l’ampia circolazione in ambito mediterraneo sono caratteristiche fondamentali del sapere iniziatico greco: a partire dall’epicentro dell’attica Eleusi, sede dei ‘Misteri’ per antonomasia, già in epoca arcaica le vie degli dèi si dipanano infatti dall’Asia Minore (Eraclito) all’Occidente (Pitagora ed Empedocle), per approdare infine all’Egitto tardoellenistico delle tradizioni gnostiche e greco-alchemiche.

Sono almeno due gli aspetti che emergono con maggiore nettezza dallo studio di Susanetti. Il primo è l’effettivo rischio esistenziale sempre connesso all’iniziazione misterica (teleté), parola che racchiude in sé il telos (‘compimento’ ma anche ‘fine’) ed è quindi per sua natura intrecciata all’esperienza della morte. I miti fondativi sono da questo punto di vista ricchissimi di suggestioni: il dráma mystikón celebrato ogni anno a Eleusi rievocava il rapimento della bellissima Persefone, figlia di Demetra, da parte del dio degli Inferi Ade, mentre al centro del pensiero e della ritualità orfica vi era lo smembramento di Dioniso da parte degli invidiosi Titani.

Questa carica di violenza percorre più o meno sotterraneamente tutte le esperienze iniziatiche e sapienziali evocate nel libro, dal mito platonico della caverna alle peripezie di Lucio nelle Metamorfosi apuleiane (interpretate come una vera e propria «fabula misterica»), per culminare con l’auto-sacrificio a cui è tenuto a sottoporsi chi si accosta alle pratiche alchemiche, chiamato a essere, come afferma Zosimo di Panopoli nelle sue Memorie autentiche, sacerdote e vittima della transustanziazione dell’uomo in purissima sostanza divina.

Altrettanto decisiva è la natura intimamente relazionale dei percorsi iniziatici e sapienziali, solo apparentemente inquadrabili come fenomeni soggettivi o individualistici. Ne è testimone la decisiva esperienza socratica, vero e proprio cardine del pensiero greco relativo alla ‘cura di sé’ e protagonista dei capitoli centrali del libro. Come emerge nelle pagine del Simposio e del Fedro platonici, è infatti il sentimento d’amore a costituire la più potente spinta dell’uomo verso l’immortalità, e solo nella dimensione mimetica del triangolo composto da amante, persona amata e archetipo divino è possibile attivare il percorso di rigenerazione che eleva i mortali verso la dimensione celeste. «L’anima, per conoscere se stessa, dovrà guardarsi in un’altra anima», spiega Socrate al giovane Alcibiade (Platone, Alcibiade I, 133a-b), paragonando la conoscenza di sé a ciò che si sperimenta contemplando il proprio volto riflesso nella pupilla dell’altro: non è perciò un caso che il testo centrale del corpus ermetico sia dedicato alla Kóre kósmou, ‘fanciulla’ e ‘pupilla del mondo’, che racchiude il cosmo e insieme lo rivela all’iniziato che in esso si rispecchia.

Anche solo da queste osservazioni dovrebbe risultare chiara quella che – evocando anche noi Foucault – potremmo chiamare la ‘posta in gioco’ del libro di Susanetti, del resto esplicitamente chiarita nella Premessa sulla scorta, fra gli altri, del filosofo Peter Sloterdijk. Da quando agli inizi del Novecento Rainer Maria Rilke l’aveva sentito riecheggiare nel Louvre alla vista di un arcaico busto di Apollo, l’imperativo Du mußt dein Leben ändern, «devi cambiare la tua vita», è diventato il motto di un’umanità alla disperata ricerca di tradizioni e valori a cui appigliarsi; il rischio, precocemente colto dallo storico della filosofia antica Pierre Hadot, è che anche la pratica dell’epiméleia heautou (la ‘cura di sé’ a cui sopra si faceva cenno) finisca nell’indifferenziato e superficiale calderone di una sorta di dandysmo esistenziale postmoderno. Porgendo l’orecchio all’«eco delle esperienze antiche», La via degli dei offre allora la salutare consapevolezza di una distanza, e insieme la vibrazione – lontanissima eppure ancora capace di interrogarci – di quella che per gli antichi era una ‘vita iniziatica’ (telestikós bios) capace di diventare ‘vita perfetta’ (téleios bios).