Avvocato dello Human Rights Law Center, docente del collegio di legge dell’Australian National University e da sempre attivo nell’ambito della protezione dell’attività dei whistleblower, Kieran Pender è anche un collaboratore del Guardian e membro del consiglio consultivo del Global Institute for Women’s Leadership.

In che modo i mandati istituiti dalla nuova legge rappresentano un pericolo per gli australiani?
È un’intrusione senza precedenti nella privacy dei cittadini. Dal punto di vista della tutela dei diritti umani è una legge estremamente problematica, l’ultima di una lunga serie di provvedimenti in materia di sicurezza nazionale approvati negli ultimi vent’anni che hanno avuto l’effetto di erodere i diritti fondamentali dei cittadini. Abbiamo inoltrato molte raccomandazioni durante il processo parlamentare per l’approvazione del Surveillance Bill: alcune sono state accettate, ma comunque è troppo poco rispetto a quanto servirebbe perché non vengano compromessi i diritti umani. Allo Human Rights Law Center siamo specialmente preoccupati dell’impatto di leggi come questa sulle attività di giornalisti e whistleblower.

Perché?
Una legge che consente di spiare le attività online rappresenta un rischio specialmente per whistleblower e giornalisti che si occupano di tematiche di pubblico interesse perché gran parte delle loro comunicazioni deve necessariamente potersi svolgere in modo confidenziale, e perché sfortunatamente in Australia il whistleblowing e il giornalismo investigativo vengono troppo spesso criminalizzati. Negli ultimi anni abbiamo assistito a raid della polizia nelle sedi delle principali emittenti di news nazionali (nel 2019 la sede della Abc di Sydney è stata perquisita dalla polizia dopo aver dato la notizia di crimini commessi dalle forze armate australiane in Afghanistan, ndr) e in questo momento tre whistleblower sono sotto processo (fra i quali il cosiddetto Witness K, e il suo avvocato, grazie al quale si è saputo che nel 2004 i servizi segreti australiani avevano messo le proprie cimici negli uffici del governo del Timor Est, ndr) per aver fatto la cosa giusta. Il Surveillance Bill rischia quindi di incrementare gli attacchi nei confronti di queste figure. La legge prevede molte forme di protezione per whistleblower e giornalisti, ma è preoccupante che la polizia possa spiarli prima che loro abbiano l’opportunità di servirsi di quelle tutele legali.

Un altro punto problematico è chi ha l’autorità per autorizzare i mandati.
Verranno autorizzati da giudici delle corti inferiori o da membri degli Administrative Appeal Tribunals (AAT). Durante l’iter parlamentare della legge era stato proposto – anche dal Law Council, il più importante organismo legale del Paese – che data la natura straordinaria di questi mandati venisse elevata la posizione di chi può autorizzarli: solo giudici di corti superiori e indipendenti. Una raccomandazione caduta nel vuoto. È particolarmente inquietante che ci si serva degli AAT, perché ne fanno parte anche membri senza qualifiche legali – e sono stati sollevati molti sospetti sull’indipendenza dei componenti di questi tribunali. Un altro problema sono le emergency authorizations, con cui le forze dell’ordine autorizzano se stesse a spiccare i mandati e solo dopo i fatti cercano un’ «approvazione» esterna. Proprio di recente l’Ombudsman australiano è stato altamente critico nei confronti dell’uso illegale, riscontrato in decine di casi, di un altro potere di sorveglianza della polizia, che riguarda i metadati. Se non possiamo avere fiducia nel fatto che la polizia agisca correttamente con i poteri che già ha, perché dovremmo conferirgliene di ancora più vasti, e lasciarglieli esercitare senza un adeguato sistema di controllo?

Queste leggi eccedono perfino lo smisurato potere di sorveglianza in capo alle forze di polizia statunitensi.
Uno dei problemi principali in Australia è la mancanza di “checks and balances” forniti dal sistema legale. La ragione per cui da noi qualunque provvedimento sulla sorveglianza, e in particolare uno draconiano come il Surveillance Bill, è problematico per i diritti umani è che i diritti e le libertà fondamentali non sono incorporati nella nostra legge. Non abbiamo un primo emendamento o altri diritti sanciti dalla costituzione come gli statunitensi, non abbiamo la legge comunitaria europea, e questo ci rende estremamente vulnerabili. L’Australia è l’unica democrazia occidentale senza una legge federale sui diritti umani. E questo significa che norme come questa possono venire approvate e implementate, mentre in altri Paesi sarebbero probabilmente invalidate perché in contraddizione con una legge di rango superiore.