Al quarto numero della sua esistenza, la rivista Sovrastrutture (pp. 124, euro 9), indipendente, distribuita on-line, autoprodotta da un gruppo di ricercatori italiani che vivono e lavorano a Parigi, coordinata da Alessia J. Magliacane, aperta al dialogo interdisciplinare e a contributi di varia nazionalità, pubblica due materiali benjaminiani molto interessanti, non solo per ciò che sono, ma soprattutto per ciò a cui, contemporaneamente, rinviano. Vediamo il primo.Col titolo I figli adottivi della rivoluzione. Sull’attualità intempestiva del Surrealismo (traduzione italiana di F. Rubino), Sovrastrutture presenta in apertura lo stralcio di un’intervista di Jean-Marc Lachaud a Michaël Löwy. Il testo completo della conversazione lo si trova in Walter Benjamin. Esthétique et politique de l’émancipation (Paris, L’Harmattan, 2014, pp. 116, euro 13), monografia di Lachaud che attualmente si propone come rappresentante francese del marxismo benjaminiano nel campo degli studi estetico-politici. Fatta questa puntualizzazione, dovrebbero apparire più chiare le ragioni che hanno spinto l’autore a intervistare proprio Löwy su temi che intrecciano Benjamin, il surrealismo e la rivoluzione.

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Walter Benjamin nella biblioteca di Parigi

La scelta dipende non solo dal fatto che Löwy abbia dedicato a questi argomenti lavori molto importanti – ricordiamo Segnalatore d’incendio. Una lettura delle tesi ‘Sul concetto di storia’ di Walter Benjamin (Bollati Boringhieri) e Walter Benjamin e il surrealismo: storia di un incantesimo rivoluzionario (nel suo volume La stella del mattino. Surrealismo e marxismo, edito da Massari) -, ma che abbia reso queste ricerche operative dalla prospettiva politica cercando il punto in cui il marxismo delle Tesi si andava a innestare sulle pratiche di emancipazione reale dei subalterni. Segnalatore d’incendio diventava un piccolo manuale di terzomondismo rivoluzionario lì dove reperiva, solo per fare un esempio, nell’insurrezione zapatista del gennaio 1994 in Chiapas, l’interruzione di quel «continuum» storico imposto dal Pri (Partito Rivoluzionario Istituzionale messicano) tra il suo regime corrotto e autoritario e la memoria della rivoluzione messicana di Zapata e Pancho Villa. Lì dove Benjamin prescriveva al materialista storico di far saltare la continuità storica, gli indigeni in armi dello Ezln (Esercito zapatista di liberazione nazionale) interrompevano una linearità nella quale leggevano il più profondo dei tradimenti dell’eredità rivoluzionaria. In tempi in cui fioriscono club di amici di Walter Benjamin tonifica lo spirito ricordare queste pagine «sporche di sangue» scritte da Löwy.

Sebbene nel corso dell’intervista tale esempio non venga letteralmente citato, è lo spirito rivoluzionario che impregna questo come tutti i movimenti di liberazione a essere evocato di continuo. Per Löwy il testimone per eccellenza di uno spirito del genere è da sempre il Surrealismo. Visto come l’erede diretto di un Romanticismo interpretato non più solamente come corrente letteraria, ma in quanto vera e propria «forma di sensibilità» che plasmò interi settori della cultura europea, il movimento che trovò in André Breton una della sue figure apicali, ne rilanciò tutta la carica insurrezionale tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento: «Il surrealismo è l’esempio più forte e affascinante di una corrente romantica nel XX secolo. Tra tutti i movimenti culturali di questa epoca, è quello che ha portato alla sua espressione più alta l’aspirazione romantica a re-incantare il mondo. Ed è anche quello che ha incarnato nel modo più radicale la dimensione rivoluzionaria del romanticismo. La ribellione dello spirito e la rivoluzione sociale, il cambiamento della vita (Rimbaud) e la trasformazione del mondo (Marx) sono le due stelle polari che hanno fin dall’origine orientato questo movimento, spingendolo verso la ricerca costante di pratiche culturali e politiche sovversive».
Il tragitto che da queste riflessioni porta a Benjamin e al suo saggio Il surrealismo. L’ultima istantanea sugli intellettuali europei, uscito in tre puntate sulla Literarische Welt nel febbraio del 1929, è davvero breve. Ascoltiamo Löwy: «Se Benjamin era tanto affascinato dal Surrealismo (…) era proprio perché lo considerava un movimento profondamente rivoluzionario e libertario, una forma di illuminazione profana, di ‘ispirazione materialista e antropologica’».

Dopo il «duetto» con Löwy, il secondo materiale benjaminiano pubblicato da Sovrastrutture è un «assolo» di Lachaud. Si tratta di un commento a Le lettere da Mosca di Benjamin (traduzione italiana di A. J. Magliacane e F. Rubino). Se attraverso Löwy veniva evocata «fuori campo» la connessione tra il marxismo delle Tesi e le rivoluzioni dell’America Latina, nonché l’intero rapporto (complesso, fatto di identificazioni e rotture) del filosofo tedesco col Surrealismo (che non si risolve nel solo saggio del 1929, ma accompagna quasi per intero la sua opera almeno dal 1925 e fino ai Passages dei tardi anni ’30), con il breve saggio di Lachaud viene riportata in «primo piano» l’esperienza fatta da Benjamin a Mosca, dal dicembre del 1926 al gennaio del 1927. L’autore ricostruisce quasi tutti gli episodi salienti che scandirono la permanenza moscovita del filosofo: l’amore per Asja Lacis, il confronto col nascente Stato sovietico, i dubbi sull’ingresso nel Partito comunista tedesco.

Da questa ricostruzione, purtroppo, sono esclusi quei momenti in cui Benjamin sperimenta la vitalità quotidiana del cinema per la società moscovita, una sperimentazione che gli servirà in seguito come base empirica su cui poggiare il maturo marxismo «cinematografico» dell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. È a causa di questa esclusione che Lachaud sbaglia la valutazione politica del viaggio a Mosca attribuendo a Benjamin una distanza dal socialismo sovietico (adesione ribadita con decisione nelle due lettere da Parigi del 1936) si realizzerà drammaticamente solo alla fine degli anni ’30 del Novecento.