Ottomila posti di lavoro a rischio e uno sciopero lungo due settimane. Ben 1.270 negozi diretti e quasi altrettanti in franchising. La catena di Sma Simply in Italia ha una storia lunga. Partiti con il marchio Rinascente nel 1961 a Milano, vengono ceduti al gigante francese Auchan – di proprietà della famiglia Mulliez che possiede anche Decathlon – che nel 2005 fonda una catena di soft discount in Italia e in Francia, poi allargata ai Paesi dell’Est. I Simply Market o Punto Simply identificano i supermercati medi e piccoli e si differenziano dagli ipermercati Auchan.

SPARSI IN TUTTA Italia ma forti soprattutto in Lombardia, Lazio, Veneto, Marche e Sicilia, hanno ora 8 mila lavoratori in un limbo sempre più rischioso. «Simply sta andando male ormai da un decennio, nell’ultimo anno ci è stato presentato un piano di riconversione ma da mesi in tutta Italia girano voci di vendita, non smentite dalla proprietà», spiega Cristian Sesena, segretario nazionale della Filcams Cgil.

Lo scorso 21 marzo il direttore generale in Italia, Americo Ribeiro, al Corriere della Sera dichiarava: «Nonostante le difficoltà, Auchan Retail crede nell’importanza di questo Paese e continua a investire. Da dieci mesi è partito un piano di convergenza verso l’unica insegna. Stiamo valutando tutte le soluzioni per ottimizzare la rete distributiva e dare valore aggiunto ai nostri clienti. Lo sviluppo dell’e-commerce va in questo senso. L’obiettivo è riuscire in questa grande trasformazione per riaffermare la nostra presenza nazionale».

LA REALTÀ è ben diversa. La concorrenza è fortissima specie ora che in Italia è appena sbarcato il colosso tedesco Aldi che ha già inondato di negozi l’Italia ed è talmente grande da poter mettere in conto due anni di perdite così da poter fare politiche di prezzi stracciati. Anche per questo la famiglia Mulliez vuole vendere la catena Simply Market a tutti i costi. «A Roma due negozi sono già stati venduti a Conad e in Sicilia – dove Auchan è l’unico gruppo rimasto nella grande distribuzione – le voci di una vendita in blocco di tutti i 33 negozi sono molto forti», continua Sesena.

«Abbiamo deciso unitariamente di dare un segnale forte». Per questo motivo hanno lanciato uno sciopero articolato a livello territoriale dal 19 aprile al 2 maggio, indetto dai sindacati confederali di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs: «In seguito alle voci sempre più insistenti di trattative per la cessione della rete di vendita ad altri gruppi, a partire da Conad, e per dire no a cessioni e dismissioni che non conservino tutti i diritti dei lavoratori coinvolti; per difendere l’attuale perimetro della rete di vendita e per chiedere un piano di rilancio serio e convincente», si legge nel comunicato sindacale unitario.

LE TRE SIGLE «da più di due anni rivendicano il diritto di poter conoscere le reali intenzioni della famiglia Mulliez rispetto alle prospettive della azienda nel mercato italiano, ed è per queste ragioni che hanno richiesto l’intervento del ministero dello Sviluppo economico». I sindacati stigmatizzano in particolare l’indisponibilità aziendale ad avviare con le rappresentanze un «confronto di merito per ricercare soluzioni utili a gestire la fase di crisi e a fornire risposte e un’informazione univoca circa le paventate cessioni di iper e supermercati».

«FRA I LAVORATORI abbiamo sentito un clima di terrore a livelli cosmici. Abbiamo deciso di adottare uno sciopero di questo tipo per due motivi – spiega ancora Sesena – : il primo è che territorialmente è più facile da gestire, il secondo è che così diamo continuità alla nostra battaglia denominata «La festa non si vende» contro le aperture nei giorni festivi di Pasqua, Liberazione e Primo maggio».

La vendita dei negozi porta sempre conseguenze negative per i lavoratori. «Spesso avviene con imprenditori piccoli che impongono, come scambio a quello che considerano il salvataggio del posto del lavoro, condizioni di lavoro molto peggiori con l’abolizione del contratto integrativo Auchan e straordinari continui non pagati o pagati con buoni pasto». Per questo la preoccupazione per tutti gli 8 mila lavoratori diretti, più i difficilmente stimabili dipendenti dei negozi in franchising, – una modalità sempre più in espansione nella giungla della distribuzione e dei supermercati – è altissima.