I dati più recenti relativi ai movimenti di migranti e profughi nel Mediterraneo ci parlano di una situazione davvero tragica. Le partenze dalle coste dell’Africa sono ormai quotidiane con un costante aumento del numero degli incidenti, anche mortali. Le vittime negli ultimi venticinque anni sono state oltre ventimila, molte delle quali nel Canale di Sicilia. Basti pensare che solo nel 2011, l’anno più nero da questo punto di vista, i morti sono stati 2160.

E occorre considerare che non si tratta di dati certi e di numeri definitivi, difficili da ottenere a causa delle condizioni di totale illegalità e insicurezza in cui si svolgono quei viaggi. Tutto ciò è il risultato del sovrapporsi di quattro forme di irregolarità: quella delle imbarcazioni, di chi le guida, delle condizioni di navigazione e dell’alto, spesso abnorme, numero delle persone a bordo. Ecco perché i dispersi – quelli che al momento dell’approdo mancano all’appello – possono raggiungere la quota di 5-6 ogni giorno.
L’operazione Mare Nostrum, iniziata lo scorso ottobre, finora ha salvato la vita a decine di migliaia di possibili vittime ed è uno strumento necessario finché perdura l’attuale condizione di elevatissimo rischio di naufragi. Ma è anche per molti aspetti troppo dispendioso (e non principalmente sul piano economico), per riuscire a far fronte a una situazione di tale portata e destinata, probabilmente, a deteriorarsi ancora. Questo richiede di adottare ulteriori strategie, i cui effetti potrebbero essere visibili già nel breve termine e le risorse di cui necessitano sarebbero sostenibili nel lungo periodo. Una di tali strategie è quella dell’Ammissione umanitaria elaborata nei giorni successivi al naufragio del 3 ottobre scorso a Lampedusa. Essa, riprendendo proposte avanzate già durante la crisi nel Kosovo (1999), consiste nel garantire a chi fugge traversate legali e sicure del Mediterraneo, ponendo fine o almeno limitando la lunga sequenza di morti. In ogni caso, è la sola opportunità rimasta. Quell’obiettivo è raggiungibile se inserito all’interno di una politica comune europea per l’immigrazione e l’asilo, che resta evidentemente tutta da costruire e da tradurre immediatamente in azioni condivise dai paesi membri. Una, per esempio, consiste nell’equa e razionale ripartizione dell’afflusso di migranti in fuga sull’intero territorio europeo.
Nei fatti, questo piano, permette di anticipare o per lo meno avvicinare geograficamente e giuridicamente, la richiesta di protezione internazionale, prima dell’arrivo dei profughi ai confini del territorio europeo. E ciò potrebbe avvenire nei paesi (Giordania, Libano, Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco) dove transitano e si addensano i movimenti dei fuggiaschi. Il sistema di sostegno sarebbe quello dei presidi internazionali, garantito dalla rete diplomatica del Servizio europeo per l’azione esterna, dalla rete diplomatico consolare dei paesi dell’Unione, dall’Unhcr e dalle organizzazioni umanitarie. Una struttura che avrebbe come primo fine quello di garantire un viaggio sicuro e legale verso i paesi europei, dove completare e formalizzare la richiesta di asilo. Si tratta di partenze programmate, a cui accedono le persone in possesso dei requisiti e di un apposito visto, che evitano così di mettere a repentaglio la propria vita nella trappola mortale del Mediterraneo.
Quello qui illustrato non è, certo, l’unico piano da prendere in considerazione. Alcuni sono già in atto, come il programma di re-insediamento su base di quote prestabilite, e altri sono in discussione sia nel nostro Paese che nell’Unione europea. Tra questi i progetti di un corridoio protetto, del rilascio di un visto umanitario, dell’ampliamento di ricongiungimento familiare.

L’elemento più importante, e per ora del tutto assente, al fine della loro attuazione, è rappresentato dall’accordo tra gli stati europei. Raggiungere questo accordo è la posta in gioco di un cruciale conflitto che l’Italia, attuale titolare della presidenza del semestre europeo, deve saper affrontare con la necessaria determinazione, pena l’insignificanza politica. Per il resto, i dispositivi di legge necessari e le strutture e le risorse sono già disponibili o previsti dalle direttive europee e dal regolamento di Schengen.
Ma occorre far presto: l’emergenza di questa estate non è certo destinata a esaurirsi. Mentre la nuova Europa che in tanti reclamano come spazio dei diritti e della dignità della persona, non può continuare a volgere altrove il proprio sguardo.