Il carattere universalista della chitarra slide e le sue pressoché infinite capacità evocative, sono al centro della narrazione sonora scelta da De Cicco. Il quale all’alba del lockdown dell’autunno duemilaventi, ha deciso scientemente di affrontare l’isolamento derivante dalla pandemia da covid19, con un viaggio ideale da compiere attraverso il lirismo di chitarre resofoniche, lap steel, bulbul tarang, saz baglama e altri cordofoni simili. L’esito racconta di otto incisioni strumentali con le quali si concretizza un lungo ed estatico errare tra oriente ed occidente, testimoniato dai suoni del blues, del folk hawaiano e di quello nipponico, del bluegrass e di influenze mediorientali. Una melanconia di fondo pervade l’intero album, assumendo forme multiple in diverse occasioni, come si ascolta in Nimbus dove banjo e saz creano scenari che sanno di Asia centrale per poi sciogliersi nell’ambient music e disperdersi negli Appalachi al tramonto. Suggestioni e grandi spazi arrivano da Fantasma e Fine Prima Stanza, dove tra la polvere del deserto tex-mex ed il cotone del Mississippi, giunge a far da collante e cornice al tempo stesso, una palese ispirazione morriconiana.