Sembra di entrare in un viaggio tra forme trasfigurate e colori pastello, approcciando l’ascolto del sesto lavoro della francese Colleen. Cècilie Schott, il suo vero nome, abbandona la strumentazione analogica per dedicarsi a una fase compositiva ed esecutiva totalmente digitale. Messa temporaneamente da parte l’amata viola a gamba, Colleen si concentra nell’utilizzo di un synth misconosciuto e di provenienza pressoché artigianale , il quale attraverso una caratterizzazione sonora portata a termine con pedali Moog e un mixer, diviene la componente musicale con cui provvede alla realizzazione dell’album. La resa finale è sorprendente: un disco etereo che non permette mai a chi ascolta di rimanere agganciato a una sola linea melodica. Nonostante l’apparente semplicità degli otto brani, ne risulta così un lavoro articolato. Una seduta di registrazione quasi catartica, che se analizzata nel profondo rivela come la lentezza sia una dote e la compulsività ritmica una ricchezza e non un tedio. Le ambientazioni esoteriche collimano con la voce di Colleen, permettendo all’autrice di tessere nel modo migliore linee narrative mai banali.
Gianluca Diana