Osserva, riflette e compone Saba Anglana, cantante italo etiope, ma con un curriculum che la vede inoltre attrice a teatro e in televisione. Anche il suo quarto progetto discografico affonda le radici nel mondo, raccontandolo nelle sue (troppe) diseguaglianze addirittura in doppio idioma: amarico ed inglese.

Ye Katama Hod – The Belly of the city (Felmay/distribuzione Egea), significa «la pancia della città». «Ogni città – spiega la cantante che sarà a Roma il 29 ottobre su palco del Monk – in particolare la metropoli che può essere Addis Ababa, Roma, Mogadiscio o New York, si forma come un organismo vivente sempre in espansione. La sua pancia è il luogo più autentico di ogni trasformazione». E questo coincide anche con le zone più marginali, le periferie, i ghetti: «Ho pensato molto durante la realizzazione del disco agli ultimi, a quelli che non partecipano al benessere sfrenato».

Tzita è un po’ la metafora dell’intero progetto, è un luogo che il progresso rischia di cancellare: «Sì è così. Un esempio di come la tradizione orale resista ancora. Tzitsa – il brano – è l’unico canto tradizionale presente nel disco. Ma l’ho voluto fortemente perché è l’esempio di come in una melodia abiti lo spirito di un paese…». Per Saba è importante che la musica popolare venga preservata, il rischio è infatti il melting pot che rende uguale molto pop ’in modulazione di frequenza’: «In Italia è forte ancora il senso della tradizione e che ritroviamo nelle periferie, ma anche nei paesi, lontano dalle grandi metropoli, dove la musica invece risente dalla massificazione della cultura pop delle case discografiche. Sono stata a Londra di recente a presentare l’album. Sul tragitto dall’aeroporto alla città la radio del conducente sparava musica pop globale, quella imposta dalla cultura americana che di fatto si è mangiata tutti gli spazi. Mi sembrava di stare in un ’non luogo’, dove ogni suono era uguale…».

Ye Katama hod è un lavoro che parla di tradizione e modernità, ricco nei testi dove si parla anche di identità violate, di diversità. In Saba, giunta in Italia poco più che bambina, convivono senza conflitto due anime: «Non sono due anime. Sono la stessa, solo più ricca. In realtà faccio un grande esercizio di libertà, un affrancamento dall’ossessione identitaria, anche in chiave creativa».