L’agricoltura deve fare sempre di più i conti con le emergenze climatiche e fitosanitarie che, sommando i loro effetti, hanno gravi conseguenze sulle produzioni. Le piante sono diventate più vulnerabili e si assiste alla comparsa di nuove e incontrollabili patologie. Una grave e misteriosa malattia sta colpendo le piante di kiwi coltivate in Italia. Una patologia che non è riscontrabile negli altri paesi produttori e non è riconducibile a una specifica causa sta determinando la morte dell’apparato radicale e il disseccamento della pianta.

IL FENOMENO E’ PRESENTE IN VARIA MISURA in tutte le regioni italiane. Si stima che più del 20% delle piante ha subito danni irreversibili che hanno portato al loro abbattimento. L’Actinidia, una strana pianta rampicante originaria della Cina, da cui il nome di «uva spina cinese», viene coltivata dall’inizio del ‘900 in Nuova Zelanda, dove trova condizioni particolarmente favorevoli per fruttificare. Gli agricoltori neozelandesi la coltivano nella caratteristica forma a pergola, migliorandone la qualità e creando nuove varietà. Nel giro di qualche decennio raggiunge una tale importanza produttiva che si decide di dare al frutto il nome di un uccello senza ali, simbolo della Nuova Zelanda, il kiwi.

IN ITALIA LA PIANTA ARRIVA ALL’INIZIO degli anni ‘70 e sembra trovare in diverse aree le condizioni di clima temperato-umido di cui ha bisogno. Si diffonde in Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Calabria e Lazio, prendendo il posto di piante meno redditizie. L’Agro Pontino, in provincia di Latina, dove si assiste da anni a forme aggressive di riconversione agricola, diventa il cuore produttivo dell’Actinidia, con una produzione che raggiunge il 30% del totale nazionale. Una esplosione produttiva che porta l’Italia a diventare il paese del kiwi, con un terzo della produzione mondiale, arrivando a contendere il primato a Nuova Zelanda e Cina. Quella che era una varietà esotica guardata con diffidenza, ora fa parte dei dieci prodotti frutticoli più commercializzati a livello mondiale e l’Italia è il primo paese per quantità esportate. Si tratta di un frutto dalle straordinarie qualità benefiche, ricco di vitamina C e sali minerali, entrato di prepotenza in tutte le diete salutiste. Viene consumato fresco, ma trova largo impiego anche nella preparazione di marmellate, gelatine, liquori, sciroppi.

I KIWI ITALIANI SONO PRESENTI SULLE TAVOLE di tutta Europa, con notevoli flussi anche verso Russia e Stati Uniti. La superficie coltivata in Italia, prima che si manifestasse la patologia, aveva raggiunto i 30 mila ettari, con una produzione di circa 600 mila tonnellate annue. Ora la malattia sta riducendo superfici e quantità prodotte. Sono circa ottomila gli ettari colpiti dalla sindrome.

I PRIMI FENOMENI DI DISSECCAMENTO delle piante si sono manifestate a partire dal 2012 nel basso veronese, per poi estendersi al Friuli e alle altre aree del nord, per raggiungere, nell’arco di 4-5 anni, il centro-sud. In alcune zone del Veneto e del Piemonte il fenomeno è presente nel 70-80% delle piantagioni. Nell’Agro Pontino la sindrome ha colpito il 20% della superficie coltivata. Nella Piana di Gioia Tauro, dove si concentra gran parte della produzione calabrese, si è manifestata più tardi, ma un 10% delle piante presenta i sintomi dell’asfissia, con un rallentamento dello sviluppo, perdita di foglie e frutti, fino al collasso.

I GRUPPI DI LAVORO CHE IN QUESTI ANNI si sono costituiti, col coinvolgimento delle regioni e delle Università di Veneto e Piemonte, non sono riusciti a individuare un fattore specifico. Siamo di fronte ad una malattia «sistemica» che esordisce nelle radici per poi coinvolgere le altre strutture della pianta e, come dimostra l’esperienza degli ulivi del Salento, non è facile risalire alle cause.

QUELLO CHE GENERA SCONCERTO è che in Nuova Zelanda, che coltiva il kiwi da più di cento anni, non si sono evidenziati fenomeni analoghi. Le ricerche finora condotte indicano una possibile origine multifunzionale che vede coinvolti gli agenti inquinanti presenti nel terreno, le modalità di irrigazione, la presenza di specifici funghi patogeni, le condizioni climatiche. «La malattia appare sempre di più ad eziologia complessa e richiede un approccio multidisciplinare», sostengono i ricercatori dell’Università di Padova. I numerosi elementi che sono stati presi in esame hanno consentito di acquisire una convinzione: i suoli italiani sono diventati inospitali, gli apparati radicali soffrono di asfissia e perdono di funzionalità. Solo dopo alcuni anni dall’esordio della malattia i ricercatori del Crea (Consiglio per le ricerche in agricoltura) sono arrivati alla conclusione che «le indagini per individuare le cause si devono concentrare sul fattore suolo». Le piante di kiwi sembrano risentire in modo particolare delle condizioni asfittiche che si riscontrano nei suoli del nostro territorio.

IL LAVORO DI RICERCA SVOLTO NELLE ZONE di produzione ha consentito di evidenziare alcuni aspetti: le tecniche di coltivazione della pianta non favoriscono il drenaggio dell’acqua; in tutti i suoli esaminati si registra una carenza di sostanza organica col conseguente compattamento del terreno; l’impiego massiccio di prodotti chimici per controllare altre patologie ha alterato l’attività dei microrganismi presenti nel terreno. In una recente ricerca sulla «stanchezza dei suoli», condotta dal dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli, si analizza il processo che porta al collasso delle piante di kiwi e si ribadisce la necessità di ripristinare le condizioni di fertilità dei suoli attraverso l’apporto di sostanza organica.

I RICERCATORI DEL CREA EVIDENZIANO anche il ruolo che stanno giocando i cambiamenti climatici nella moria del kiwi. Gli eccessi termici sono considerati fattori scatenanti perché indeboliscono le piante, alterando l’equilibrio tra radici e parte aerea. Le ripetute ondate di calore producono uno stress idrico che le piante di kiwi non sono in grado di reggere. Tra gli eventi climatici sfavorevoli vanno annoverati gli inverni miti, che impediscono il fenomeno del gelo/disgelo che agisce come lavorazione naturale del terreno, ma anche le piogge intense e concentrate nel tempo, che causano il ristagno dell’acqua nei suoli, favorendo l’asfissia e la marcescenza delle radici.

LA «QUESTIONE KIWI» E’ ARRIVATA al Parlamento italiano e alla Commissione europea. Il Ministero delle politiche agricole ha istituito un comitato tecnico-scientifico con il compito di coordinare le attività di ricerca e definire, sulla base delle indagini svolte nei territori colpiti, le linee guida nella coltivazione della pianta. A fine settembre inizia la raccolta dei frutti. Si prevede un ulteriore calo della produzione perché, nonostante l’impegno di agricoltori e ricercatori, si è ancora lontani dal contrastare efficacemente una sindrome che ha alla base la scorretta gestione del suolo e i cambiamenti climatici.