Mentre la Libia sembra precipitare sempre più nel caos, come dimostra l’attacco di giovedì alla base aerea di Brak Al-Shati nel Sud del paese in cui sono morte più di 130 persone tra soldati e civili, al Viminale si continua a lavorare per chiudere le frontiere meridionali del paese nordafricano mettendo fine agli arrivi di migranti. Per questo stamattina il ministro degli Interni Marco Minniti vedrà al Viminale il collega libico (la cui presenza era confermata fino a ieri sera) insieme a quelli del Ciad e del Niger. Questi ultimi sono i due Paesi che confinano con il sud della Libia e particolarmente importanti perché rappresentano due dei principali punti di transito per le carovane di migranti che dall’Africa subsahariana cercano di raggiungere il Mediterraneo. Obiettivo dell’incontro è quindi quello di convincere anche le autorità di Niamey e N’Djamena a collaborare rafforzando i controlli alle rispettive frontiere.

Si tratta di un progetto al quale Minniti sta lavorando fin dal giorno del suo insediamento ma che, al di là dei comunicati ufficiali, si sta rivelando più complicato del previsto, al punto da non aver fatto registrare finora nessun passo in avanti. E’ stato così sia per l’incontro avvenuto al Viminale tra i sindaci del Fezzan, la regione meridionale della Libia praticamente senza controllo (lo scontro a fuoco di cui si è saputo ieri ne è un’ulteriore prova), che per il successivo vertice con i capi delle principali tribù della regione, vertice che avrebbe dovuto portare a un coinvolgimento nelle operazioni di contrasto all’immigrazione. Al di là delle aspettative di Minniti, appare quindi francamente difficile che dall’incontro di oggi possano arrivare novità di rilievo.

Non è la prima volta che l’Italia tenta di convincere il Niger, uno dei paesi più poveri a mondo, a collaborare nel fermare i migranti. A marzo è stato il ministro degli Esteri Angelino Alfano a siglare con il collega nigerino un accordo che prevede il finanziamento di 50 milioni di euro a Niamey insieme alla fornitura di droni e jeep e all’impegno ad addestrare personale di polizia e militare nel controllo dei confini. Nulla di quanto promesso, però, sarebbe avvenuto, almeno finora. E’ quindi molto probabile che oggi Minniti tornerà a insistere promettendo magari ulteriori finanziamenti. E la stessa cosa farà con il rappresentane del Ciad.

Insieme all’Algeria, i due paesi africani coprono l’intero confine Sud della Libia, 5.000 chilometri attraverso i quali, oltre ai migranti, passa ogni genere contrabbando. Sigillare quella frontiera, attraversata dal 90% dei migranti che arrivano in Italia, significherebbe sbarrare la strada a decine di migliaia di uomini, donne e bambini rendendo le loro condizioni di vita ancora più drammatiche, visto che non avrebbero altra scelta che ammassarsi lungo il confine o tentare il tutto per tutto imboccando rotte ancora più difficili pur di raggiungere l’Europa. Sono sempre e solo loro, infatti a pagare il prezzo di quella che con una buona dose di ipocrisia l’Europa definisce da anni lotta ai trafficanti di uomini. I quali, per nulla intimoriti, altro non fanno che trovare nuovi mezzi per proseguire i loro traffici. Sempre a spese dei disperati pronti a tutto pur di fuggire da violenze e miseria. Anche a intraprendere viaggi sempre più pericolosi, come dimostrano i quaranta migranti dell’Africa occidentale abbandonati dal loro trafficante in pieno deserto nel nord del Niger all’inizio della scorsa settimana, ma dei quali si avuta notizia solo ieri. Il gruppo, nel quale si trovavano anche delle donne, è stato salvato a 60 chilometri dal villaggio di Seguidine ed era composto da migranti provenienti da Gambia, Nigeria, Guinea, Senegal e Niger che tentavano di arrivare in Europa attraverso la Libia. Ai militari che li hanno soccorsi hanno raccontato che il trafficante che li accompagnava li ha lasciati per andare a trovare dell’acqua ma non è più tornato.