Per gli Stati uniti è giunta in America latina la fase storica (crisi dei governi progressisti) per abbattere con un’ultima spallata il governo bolivariano in Venezuela e mettere in ginocchio Cuba. Il programma è stato chiaramente delineato nei giorni scorsi dal senatore della Florida Marco Rubio, il consigliere più ascoltato dal presidente Trump in materia di politica latinoamericana, che, per attuarlo, ha chiamato a raccolta sia l’Organizzazione degli stati americani (Oea), sia il Gruppo di Lima – l’organizzazione multilaterale dei governi di destra del subcontinente.

Secondo Rubio, gli Usa (e il Canada) e le destre americane dovrebbero imporre nuove pesanti sanzioni al Venezuela, mentre a Cuba l’obiettivo da colpire sono gli interessi economici – turismo, grande distribuzione, import-export, assicurazioni e sicurezza – gestiti dalle Forze armate.

IL SENATORE RUBIO come il segretario dell’Oea, Luis Almagro, «non riconoscono» l’elezione del nuovo presidente cubano Miguel Díaz-Canel:per il primo si tratta di «una farsa», per il secondo «è un tentativo di perpetuazione di un regime autocratico dinastico-famigliare e si chiama dittatura».

L’Oea ritorna alla sua politica – anticubana e antiprogressista – di sempre. La storia si ripete, anche se la prima volta come tragedia, poi come farsa. Sono passati i tempi in cui il segretario dell’Oea – che Fidel Castro chiamava ironicamente «il ministro delle colonie degli Usa» – poteva fare e disfare governi nel subcontinente. Per questa ragione, l’amministrazione Trump punta oggi sulle nuove destre latinoamericane, Argentina, Brasile e Cile soprattutto.

Per far fronte a questa situazione «e visualizzare il futuro» ieri è giunto all’Avana il presidente venezuelano Nicolás Maduro. Lunedì sarà la volta del capo di Stato della Bolivia, Evo Morales. Con la crisi interna dell’Ecuador – dove il vecchio (Rafael Correa) e il nuovo presidente, Lenin Moreno sono ai ferri corti – il “nocciolo duro” del Socialismo del XXI secolo si è ridotto, appunto, a Venezuela, Bolivia e Cuba.

NEL SUO DISCORSO di investitura, Díaz-Canel ha messo in chiaro che vi sarà assoluta continuità in poliltica estera, mentre il presidente uscente Raúl Castro ha ribadito la stretta alleanza con il Venezuela – principale partner economico dell’isola. Uno dei principali problemi che accomunano il nuovo presidente cubano e i leader bolivariani è appunto la rinnovata aggressività dell’amministrazione Trump, più che mai decisa a reimporre la dottrina Monroe, soprattutto per fermare la crescente presenza della Cina (e dell’Ue) nel subcontinente. Forse, dietro le quinte, alle riunioni che intendono mettere a punto una strategia comune parteciperà anche l’ex presidente ecuadoriano Correa, all’Avana per registrare un programma della tv Russia today dal titolo «Conversando con Correa».

DOPO AVER DI FATTO GUIDATO la delegazione statunitense al Vertice delle Americhe a Lima, giovedì scorso Rubio – presidente del sottocomitato per gli affari dell’emisfero occidentale – ha presentato al Senato usa un piano in tre punti: lavorare assieme ai governi di destra latinoamericani «che rappresentano il 90% dell’economia e della popolazione del subcontinente per imporre sanzioni contro i (leader bolivariani, ndr) responsabili della crisi umanitaria in Venezuela»; fornire «aiuti umanitari e assistenza ai rifugiati venezuelani» e «creare un meccanismo – una sorta di piano Marshall – per riscostruire il Venezuela una volta espulsa la dittatura (di Maduro, ndr)». Contro Cuba, Rubio vuole sanzionare le attività economiche legate all’esercito. E ha di fatto convocato «un vertice dell’Oea in Messico il mese prossimo» per discutere i «passi chiave» da lui proposti.

PER IL VERTICE POLITICO cubano, impegnato in un rinnovamento generazionale per dare impulso alle riforme economico-sociali –ma anche politiche con la prevista riforma costituzionale – le minacce del senatore Rubio sono particolarmente pericolose. Il nuovo segretario di Stato – ex capo della Cia – Mike Pompeo e soprattutto il capo della sicurezza nazionale John Bolton sono molto propensi a dargli ascolto. Il primo perché viene indicato come il responsabile del ritiro dei diplomatici americani dall’isola dopo i supposti «attacchi acustici» subiti; il secondo perché ritiene il socialismo un «pericolo interno» per gli Stati uniti. Attualmente nell’ambasciata Usa all’Avana vi sono solo dieci rappresentati diplomatici, dei quali uno solo alla sezione consolare (che secondo gli accordi dovrebbe concedere 20.000 visti l’anno ai cittadini cubani).

Secondo vari analisti, la scelta di eleggere un presidente che non porti il cognome Castro e in generale il rinnovo generazionale che si annuncia sono diretti anche a riprendere le trattative con Washington.