Tanto rumore e poca lana, disse il diavolo che tosava il porco. Più o meno questo avrebbe pensato Sam Weller, Sancho Panza dell’East End messo dalla penna di Dickens a servizio di Mr Pickwick, inerpicandosi tra la gente al seguito del Giro sullo Zoncolan, la salita più sopravvalutata del ciclismo. La cosa più simile, nelle corse, ad uno stadio del calcio. E di rumore ne fanno parecchio, i centomila abbarbicati su questo Maracanà verticale. Più dura è fare selezione per davvero, per le pendenze da stambecchi della rupe. Chi va forte va su ai dieci all’ora, chi non ne ha tanto più piano non può andare, se non si ferma. È quindi un esercizio crudele quello che va in scena oggi, dove ci sono più sconfitti di quanti non siano i vincitori. Più facile, questi, che vengano esaltati da Gavia, Mortirolo e Stelvio. Ma questo è un Giro avaro con la tradizione, e quindi ci si apposta, con lo scetticismo di Sam Weller, sulla cresta, e si aspetta che la strada faccia rotolare a valle i meno adatti.

La fuga prende corpo via via che il gruppo si lascia alle spalle la partenza di San Vito al Tagliamento e si addentra tra i boschi della Carnia. Si passa anche da Peonis, dove, lo si raccontava ieri, un gerarca tronfio prese la sua rivincita mortale su Bottecchia. La pernice bianca veglia sui Don Chisciotte di oggi, Conti, Barbin (gli ultimi arresi), Gavazzi e Mosca, più Pedersen (Danimarca) e Didier (Lussemburgo).

La salita non è neppure cominciata e il primo tentativo è più un omaggio che un attacco. Lo porta Igor Anton, che a fine carriera vuol ricordare la vittoria sua più bella, quassù in cima. Froome intanto annaspa a metà gruppo, a interrogare l’oracolo meccanico che di solito gli detta il ritmo. Il responso dev’essere positivo, se il suo uomo più fidato, Poels, è spedito a tirare il collo agli altri favoriti. Chi ingobbendosi ci lascia le penne è Aru, prima ancora che cominci la ridda degli affondi. Da lì in poi la salita è un setaccio che restituisce al fiume le pietre meno nobili. Cade Carapaz, Pinot e Dumoulin vanno su per conto loro. In quella, Froome comincia a sferragliare sui pedali e saluta la compagnia, seguito dopo un po’ da Yates in rosa. Si assiste da lì all’arrivo a un elastico tra i due, ma Froome stringe i denti (alla lettera) e taglia il traguardo a braccia alzate.

Molto rumore e poca lana (in mezzo minuto ci sono tutti i primi cinque), se non quella che basta a cucire addosso a Yates un’altra maglia rosa, e a Froome e Dumoulin il ruolo di sfidanti.