Tutto rinviato. Il consiglio dei ministri decisivo sul caso Ilva, previsto per oggi, non si terrà ed è in forse anche il vertice di massa che potrebbe però essere confermato in extremis, ma con all’ordine del giorno soprattutto la manovra. Di Ilva si riparlerà la settimana prossima, «nei primi giorni». Inutile vedersi senza ancora un accordo. Servirebbe solo a litigare, a esarcebare animi ed estremizzare posizioni, renderebbe tutto ancora più difficile. Tanto più che uno spiraglio invece c’è.

NELLA RIUNIONE con Di Maio di tutti i parlamentari e soprattutto in quella dei senatori con il ministro ed ex capogruppo al Senato Stefano Patuanelli, martedì notte, il niet del Movimento 5 Stelle è stato quanto meno rimodulato. La chiave è in un passaggio decisivo: l’intesa sul «non mettere a rischio il governo». In concreto: se il decreto sullo scudo penale sarà presentato e passerà solo grazie al voto delle opposizioni ciò non comporterà la crisi. «Non si tratterebbe di un nuova caso Tav», fanno notare dalle prime file del Pd: lì, infatti, la divisione nella maggioranza riguardava l’intero M5S. Stavolta si tratterebbe solo di una pattuglia di dissidenti, forse, anzi quasi certamente tanti da rendere necessario il soccorso della destra. Ma non si potrebbe comunque parlare di frattura nella maggioranza.

Le voci su una «disponibilità» ad accettare uno «scudo a tempo» si rincorrono per tutto il giorno. Il sottosegretario ai Rapporti con il parlamento Gianluca Castaldi conferma: «Se gli avvocati mettono sul piatto quello bisogna ragionarci». Il capogruppo al Senato Gianluca Perilli lo smentisce: «Non si è mai parlato di scudo a tempo». La vistosa contraddizione rende l’idea di quale sia il clima all’interno del gruppo pentastellato.

POI PATUANELLI SI INCARICA di chiarire le cose in conferenza stampa. Toni bellicosi, posizione apparentemente rigida: «La linea del Movimento non cambia rispetto al voto sull’emendamento sull’impunità. Diciamo no allo scudo penale». ArcelorMittal, prosegue il ministro, ha violato l’accordo con una produzione sensibilmente inferiore ai 6 milioni di tonnellate di acciaio concordati: 2 milioni in meno. Inoltre l’eliminazione dello scudo non implica l’impossibilità di applicare il Piano industriale. Dunque non è condizione di recesso. Sarà dunque il Tribunale di Milano, di fronte al quale è stato depositato il ricorso dei commissari, a costringere Mittal a rispettare gli impegni. Sempre che si arrivi a tanto e si finisca davvero a combattere quella che Patuanelli definisce «la battaglia legale del secolo» e non prevalgano invece nei vertici della multinazionale «un barlume di saggezza e più miti consigli».

MA QUESTA È LA FACCIATA, a uso dei duri del Movimento. La sostanza è tutt’altra e va individuata fra le righe. Se, nonostante la scelta dei senatori pentastellati di tener duro sullo scudo, il premier dovesse insistere motivatamente su quella norma «se ne parlerebbe nel gruppo». Non s’intende, naturalmente, l’emendamento presentato da Italia Viva e considerato inammissibile dalla presidente di commissione Carla Ruocco. Quello è fuori gioco: anche il ricorso verrà bocciato dal presidente di palazzo Madama Roberto Fico. S’intende un decreto ad hoc. In merito Patuanelli non si lascia sfuggire neppure una sillaba vincolante. Il gruppo discuterebbe e voterebbe. Ma in quella disponibilità a «riparlarne» c’è un’apertura evidente e non a caso, pochi attimi dopo, il guardasigilli Alfonso Bonafede ripete che «la questione dell’Ilva non determinerà la sopravvivenza del governo».

I VERTICI DELL’M5S, così come lo stesso Pd, mettono già nel conto un numero nutrito pur se non esorbitante di voti in dissenso. Uno dei punti chiave sul quale avevano insistito i senatori pentastellati nella lunga riunione notturna era stato proprio la garanzia che sull’eventuale decreto non verrà posta la fiducia. Ma anche se quei dissidenti renderanno decisivo il voto dell’opposizione il governo non ne risentirà. Non si tratta certo di una situazione ideale. Prima di tutto perché i tempi cominciano a essere stretti e Patuanelli ha detto chiaramente quel che tutti già sapevano: se si dovesse arrivare allo spegnimento degli altoforni, quasi certamente non verrebbero più riaccesi. Ma soprattutto perché il varo dello scudo senza una maggioranza autosufficiente sarebbe una ferita comunque profondissima. Sempre meglio, però, di dover fare i conti con la chiusura dell’Ilva.