In Giappone sono le zoris, in Australia le thongs. I brasiliani non potrebbero vivere senza, le chiamano chinelos; nelle Filippine sono invece le tsinelas. Nel linguaggio internazionale della moda sono le flip-flops, le infradito di plastica. Economiche, colorate, comode: per tre miliardi di persone sono le uniche scarpe accessibili. La loro vita in media dura due anni. E la loro tomba è il mare: si stima che, degli 8 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno si riversano nei nostri oceani, le flip flops da sole raggiungano le 90 tonnellate. In Kenya una piccola realtà controcorrente le sta raccogliendo, pulendo, trattando e convertendo in piccole e grandi opere d’arte: si chiama Ocean Sole, si trova a Kiwayu, una piccola isola dell’arcipelago delle Lamu, all’interno della Riserva Marina Nazionale di Kiunga.

Per uno strano gioco di correnti e di maree, in queste spiagge si riversa l’immondizia non solo della costa orientale dell’Africa, ma anche dell’India, dell’Indonesia, addirittura della Cina. Ocean Sole trasforma i nostri vecchi sandali in coloratissimi elefanti, psichedelici rinoceronti, leoni a strisce, estrosi animali marini. Alcuni di loro stanno nel palmo della mano, i masterpieces possono misurare svariati metri in altezza.

Ocean Sole ha creato una rete di raccoglitori che perlustra spiagge e comunità e raccoglie la plastica con cui realizzare le sculture. Il materiale grezzo viene poi ripulito con detersivi ecologici e suddiviso per colore. I blocchi vengono quindi incollati e compattati e preparati al taglio e all’incisione, e passano nelle mani di veri e propri artisti, che realizzano le varie forme d’animale.Tutto il percorso è realizzato a mano, tra dipendenti e collaboratori fissi e saltuari sono 700 le persone che lavorano per Ocean Sole; molti sono membri delle comunità rurali di Kiwayu; 150 di loro arrivano da situazioni di forte difficoltà economica, e ora possono contare su uno stipendio dignitoso.

Gli artisti, i veri realizzatori di queste opere di arte riciclata, sono circa 50. Alcuni di loro, come Francis Mutua, prima di arrivare qui, lavoravano e intagliavano il legno; oggi sono artigiani della plastica e modellano squali, balene e pesci tropicali. «Negli slums, praticamente tutti hanno questi sandali», racconta Francis.

«Ma quando si rompono o rovinano, li gettano»; ne vengono buttati così tanti che, per la loro particolare resistenza e forma, creano danni non solo all’ambiente e agli animali, ma anche nei compound, per esempio bloccando la fornitura di acqua pulita o intasando vie di fuga dell’acqua piovana, come è successo a Kibera, una delle baraccopoli più popolate di Nairobi.
“Non raccogliamo solo sulla nostra isola: abbiamo dei raccoglitori anche in città, che periodicamente raccolgono le flip flops per noi, ce le portano, e noi le lavoriamo”, continua Francis. Rispetto al suo lavoro precedente, il materiale non è l’unica cosa che fa la differenza: “Qui lavoriamo per salvare l’ambiente”.In Kenya una sola ditta può produrre fino a 100mila flip flops in un giorno, Ocean Sole ha ormai raggiunto l’obiettivo di riciclare 50 tonnellate ogni anno. Pulire l’ambiente e sostenere le comunitàOcean Sole nasce nel 1998 dall’intuizione di una giovane biologa, Julie Church. Julie, la cui famiglia vive in Kenya da 4 generazioni, lavorava per il progetto di preservazione delle tartarughe marine di Kiwayu.Racconta di essere stata colpita da due immagini: da una parte le bianche spiagge dell’isola, deturpate dalla presenza di migliaia di oggetti di plastica, trascinati per miglia su queste rive da forti correnti. Uno scempio per il paesaggio e per l’ambiente, e un pericolo per le tartarughe, che oltre a scambiare oggetti di plastica per cibo, spesso non riescono a raggiungere i luoghi più adatti alla deposizione delle uova sulle spiagge, proprio perché coperti di plastica. “Quando diciamo che l’oceano è una zuppa di plastiche”, osserva Julie “è davvero così, perché la plastica non svanisce, semplicemente si rompe in pezzi sempre più piccoli, diventando cibo per pesci, balene, squali…e presto o tardi arriveranno anche nel nostro piatto”.

L’altra immagine che colpisce Julie Church è il riutilizzo dei rifiuti da parte dei bambini delle comunità locali per creare i propri giocattoli. “L’obiettivo dal principio è stato quello di pensare ad un progetto che aiutasse a pulire l’ambiente e che contemporaneamente portasse consapevolezza e sviluppo nelle comunità”, spiega.
Le prime ad essere coinvolte sono state le donne delle comunità, a cui venne proposto di creare oggetti da vendere, a partire dalla raccolta e dal riutilizzo della plastica delle flip flops. Nel 2000, con le prime vendite, arriva anche la prima commessa importante: 15mila tartarughe per la sezione svizzera del Wwf. Quella che era partita come un’iniziativa di sostegno economico alle comunità locali iniziava a diventare un commercio regolare. 
Musei, zoo, acquari e riserve marine sono stati i primi rivenditori delle creazioni di Ocean Sole, e sono ancora le principali vetrine di questi prodotti; anche per questo i soggetti realizzati sono quasi sempre animali. “I nostri artigiani sapevano fare quello, e abbiamo deciso di valorizzare le loro competenze” continua Julie, “ma i nostri animali riciclati ci vogliono anche ricordare che i primi ad essere danneggiati dall’inquinamento sono loro e l’ambiente. È importante per noi che siano oggetti belli, colorati e divertenti, perché in questo modo attirano l’attenzione, e ci permettono di spiegare perché il lavoro che facciamo è così importante”.
In quasi venti anni però la produzione è costantemente aumentata, così come la preparazione degli artisti e degli artigiani. I “masterpieces”, giganteschi rinoceronti, giraffe che raggiungono le foglie degli alberi, piovre “da giardino” che ti guardano dritte negli occhi, sono stati esposti alla Rome Fashion Week nel 2008; nel Museo Culturale Svedese nel 2010; nello Zoo di Londra nel 2013; pure presentati a papa Francesco nel 2015.Il 2017 è quello che a Ocean Sole chiamano “l’anno del cambiamento”: tutta la produzione è ormai all’interno di un “villaggio artistico e culturale”. L’impresa collabora con quattro diverse agenzie delle Nazioni Unite: l’Unesco, l’Undp, l’Unep (il programma Onu per l’ambiente) e l’Unic (United Nation Information Centres), con l’obiettivo di continuare a tutelare l’ambiente coinvolgendo le comunità locali e migliorando le loro condizioni di vita. 
Una goccia nell’oceano Le 50 tonnellate di plastica recuperate ogni anno sono un bel traguardo, ma non bastano da sole a combattere l’inquinamento delle acque: tra garbage patch (le isole di plastica galleggianti), plastiche espanse (come il polistirolo), film sottili (come i sacchetti), e micro detriti che si depositano sui fondali, sono 150 milioni di tonnellate i rifiuti che navigano nei nostri oceani. Nel suo piccolo, Ocean Sole non ha intenzione di mollare: sta cercando collaborazioni in Messico per aprire una nuova sede, e sta studiando un nuovo modello di calzatura, per ricordarci che, per quanto economiche, il costo delle nostre flip flops per l’ambiente è insostenibile.