L’«isola di Bergman» a cui allude il titolo del nuovo film di Mia Hansen Løve è naturalmente Farö dove il regista svedese ha abitato e realizzato molti dei suoi capolavori – e due documentari dedicati ai suoi abitanti. Era stato durante le riprese di Persona (1965) che Bergman, innamoratissimo di Liv Ullman, aveva deciso di far costruire una casa lì per andarci a vivere insieme a lei. Nel suo libro di memorie, Lanterna Magica, Bergman dice che era così folle d’amore da non avere neppure chiesto a Ullman cosa pensava di quell’idea. Quanto si legge in Cambiare, il libro autobiografico dell’attrice e regista, suggerisce un esito non proprio felice: Ullman ricorda infatti la solitudine di quei luoghi – c’era un ferry a collegare Farö alla terra ferma che Bergman prendeva ogni giorno per acquistare i giornali – come una specie di «inferno»; soprattutto gli inverni infiniti erano terribili, coi lunghi periodi in cui lui, Bergman, si rinchiudeva in un mutismo assoluto, mentre lei provava a passeggiare sfidando le bufere. A peggiorare le cose c’era l’insistenza (quasi persecutoria) dei paparazzi contro la quale anche su richiesta di Bergman gli abitanti del posto avevano costruito una barriera di protezione: rifiutavano di dare ai turisti la minima indicazione sulla coppia rispondendo con parole incomprensibili. L’esistenza di Farö ha finito così per intrecciarsi a Bergman in una continua sovrapposizione che ha reso «economia» la presenza bergmaniana e l’isola quasi in un parco a tema con tanto di «Bergman safari» per i visitatori.
Tutto questo attraversa il film di Hansen- Løve anche se Sull’isola di Bergman non racconta la storia dell’isola e (soprattutto) nemmeno quella di Bergman. Con la sua figura e le tracce che ne punteggiano il paesaggio dialoga naturalmente senza «citarne» però i sentimenti o le forme: la cinefilia che caratterizza la regista francese gli rende omaggio in una «distanza» che le permette di affrontare una relazione altrimenti impossibile, e in certi passaggi anche di «smitizzare» il memoriale in cui l’aura del regista viene conservata. Nei luoghi con cui si confronta, e che esplora con partecipazione, Hansen Løve disegna le proprie traiettorie narrative disseminate tra l’«eredità» che custodiscono e i punti di fuga da essa più segreti che la portano a esplorare la fragilità dei legami di coppia.

PARLANDO del film allo scorso festival di Cannes, dove è stato presentato in concorso diceva: «Mi interessava indagare come nasce una storia, in che modo si scrive e come funziona questo nel rapporto tra due artisti: essere insieme permette una complicità? O invece il gesto creativo rimane sempre solitario?». Chris (Vicky Kreps) e Tony (Tim Roth) sono due registi, anche se il linguaggio comune del cinema li allontana invece che unirli. Lei è molto più giovane di lui, e si intuisce all’inizio della carriera, lui è invece sessantenne affermato e osannato, entrambi hanno avuto una residenza artistica sull’isola di Farö per scrivere i loro nuovi progetti lasciando a casa la figlioletta. Ma se Tony, a cui è stato dedicato anche un omaggio procede spedito, Chris appare confusa, cerca qualcosa che la spinge su un bordo sempre più sottile fra vissuto e «finzione». E mentre lui finisce nel circuito del Bergman safari, lei con gli occhiali modello Bibi Andersson, scopre altre zone dell’isola insieme a un giovane studente di cinema conosciuto in quel momento.
L’amore per il cinema a cui si intreccia un po’ di autobiografia, altro motivo ricorrente seppure sempre sottotraccia nei suoi film – Hansen Løve è stata a lungo in coppia con Assayas – non la porta dunque a cercare un film alla Bergman – nonostante i due personaggi vivono dove è stato girato Scene da un matrimonio – le dà la possibilità di una certa leggerezza, e anche di guardare alla realtà che trova con umorismo.

POI IL FILM cambia, diventa un altro film (la sua parte forse più bella), quello di Chris colto nel suo compiersi: c’è ancora una coppia molto diversa però dall’altra alle prese con un quotidiano fatto anche di concretezza. I due personaggi del «film-nel-film», Amy (Mia Wasikowska) e Joseph (Andersen Danielsen Lie) sono stati amanti ma si sono perduti e si ritrovano a Farö per il matrimonio di un’amica dopo anni. Quell’incontro che prova a sfidare il tempo e i cambiamenti delle loro vite si perde in una notte, sogno impossibile di rimpianti, gesti mancati, malinconia per qualcosa che non tornerà. Il gioco di specchi – con un ’ombra bergmaniana – si moltiplica, viene svelato, scopre l’intimità: il cinema è ancora una volta spazio di un altrove, delle possibilità di un desiderio in cui la narrazione e il vissuto danzano insieme.