Non manca di una sua intrinseca simbologia il tandem di notizie che ieri arrivavano dall’Iran. Un terremoto di magnitudo 5,1 ha colpito l’ovest del paese, la stessa area devastata dal sisma del 13 novembre che uccise 620 persone e sbriciolò le case popolari volute dall’ex presidente Ahmadinejad.

Lo stesso che ieri il quotidiano al-Quds al-Arabi dava agli arresti domiciliari: citando «fonti affidabili a Teheran» il giornale basato a Londra riportava della detenzione del falco conservatore con l’accusa di aver incitato alle proteste che hanno attraversato l’Iran a cavallo del Capodanno.

Il 28 dicembre, primo giorno di manifestazioni, nella città di Bushehr avrebbe criticato l’attuale leadership e accusato il suo successore Rouhani di considerare la gente «ignorante» e di pensare di possedere «il paese». Non è giunta però alcuna conferma dell’arresto.

Da quattro giorni ormai le proteste sono cessate, lasciando spazio a quelle pro-governative, da Teheran allargatesi al resto del paese. Gli slogan di sostegno al governo si alternano ai cori contro Stati uniti e Israele, indicati dai vertici iraniani come le menti dietro le manifestazioni, più di stampo economico però che ideologico, spinte da problemi reali, disoccupazione e povertà, più che dal desiderio del cambio di regime.

Teheran prova dunque a giocarsi la partita sullo stesso campo in cui gli Stati uniti l’hanno trascinata. E se la gioca al Palazzo di Vetro dove venerdì alle 21.30 (ora italiana) è andato in scena lo scontro tra Usa e resto del mondo.

In un meeting urgente chiesto da Washington, la Casa bianca ha provato a tirare per la giacca il Consiglio di Sicurezza e a costringerlo a votare una risoluzione di condanna. Senza riuscirci: all’attesa opposizione russa si è aggiunto la prudenza di Europa e Cina che non hanno alcuna intenzione di ostacolare l’uscita dall’isolamento dell’Iran.

I rappresentanti di Londra, Parigi e Pechino all’Onu hanno ribadito la posizione di Mosca: le proteste, hanno detto, sono affari interni iraniani, «gli eventi degli ultimi giorni non costituiscono una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale». Il segretario di Stato Usa Tillerson si è detto «deluso dall’Unione europea perché non ha preso una posizione più netta».

Gioiesce Teheran: il Consiglio di Sicurezza, ha commentato il ministro degli esteri Zarif, «ha respinto con decisione i tentativi Usa di dirottare il suo mandato. Un’altra sciocchezza dell’amministrazione Trump».

Che subisce anche gli strali russi: «Lasciamo che l’Iran gestisca i suoi problemi – ha detto l’ambasciatore di Mosca, Nebenzia – Se seguiamo questa logica, avremmo dovuto incontrarci dopo gli eventi di Ferguson, nel Missouri, o dopo la violenta dissoluzione del movimento “Occupy Wall Street” a Manhattan».