«Nessun patto è possibile», sull’immigrazione, tra il Pd e il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Anzi, nel percorso per blindare la nuova maggioranza di governo, l’ex ministra Livia Turco, presidente nazionale del Forum immigrazione del Pd, pone tre pietre miliari «irrinunciabili». Tre richieste ben precise, «ed è bene che ascolti anche Enrico Letta».

Nel contratto di programma «Italia 2014» il vice premier Alfano inserisce la voce immigrazione, che per il centrodestra – vecchio o nuovo che sia – si declina come sempre nel rafforzamento del reato di clandestinità e nell’ulteriore chiusura delle frontiere. Quanto è disposto il Pd a cedere su questi punti, per salvare il governo?

Ci sono tre cose che il governo Letta deve fare: abrogazione del reato di clandestinità, riforma della legge sulla cittadinanza almeno per i minori e superamento dei Cie. Non si vuole ammettere il fallimento di queste strutture. E’ incredibile che dopo aver scontato la pena in carcere, un immigrato clandestino transiti nei Cie per essere identificato. Una cosa assurda, costosa e senza senso. Bisognerà poi intervenire sull’introduzione del servizio civile per immigrati e, in generale, sulla trasformazione del contratto di integrazione, perché l’insegnamento della lingua e della cultura italiana sia un’opportunità e non un vincolo. È necessaria anche una vera politica europea che non si fermi solo al controllo delle frontiere…

Cosa dovrà ottenere Letta, nel prossimo semestre di presidenza dell’Ue?

L’Europa è decisiva. Il tema dell’immigrazione va posto con un approccio nuovo, collegato allo sviluppo: una politica europea per lo sviluppo non può fare a meno della promozione della mobilità delle persone. Perciò va aggiornato il welfare, e semplificata la politica dei visti e in generale la cosiddetta portabilità dei diritti. Per esempio, molti immigrati tornerebbero nel loro Paese ma l’Italia li costringe a rimanere perché la legge Bossi-Fini, cancellando le precedenti norme (la Turco-Napolitano, ndr), stabilisce che non possano riavere indietro i contributi previdenziali versati, quindi di fatto li condanna a non avere una pensione in patria. Ecco, mi aspetto che Letta nel semestre europeo collochi la politica dell’immigrazione all’interno di un welfare che promuove la mobilità delle persone. Perché le quote devono essere definite a livello nazionale e non a livello europeo? Il controllo delle frontiere, poi, è una necessità, ma vuol dire controllo degli scafisti, non repressione degli immigrati.

Sta dicendo dunque che non c’è alcun terreno comune con il Nuovo centrodestra?

Assolutamente no. C’è invece una cosa che l’Italia dovrebbe fare: abrogare la Bossi-Fini, anche se capisco che non lo si può chiedere ad Alfano. Lo avrebbe fatto Bersani, se fosse stato al governo. Nell’immediato, invece, questo governo deve assolutamente superare la logica dell’emergenza nell’accoglienza dei richiedenti asilo, aumentare la nostra capacità di accoglierli e imparare a distinguere tra immigrati economici e rifugiati. Che devono essere accolti in virtù dell’articolo 10 della Costituzione e del trattato di Ginevra. Deve farlo subito, in questi mesi. Poi, in sede europea, bisognerà imporre un principio di solidarietà di equa distribuzione dei richiedenti asilo, anche se la Germania o la Svezia ne accolgono il triplo di noi.

Pensando a Prato: come si contrasta il fenomeno della deregulation del lavoro nelle comunità di immigrati?

Purtroppo non avviene solo a Prato: si chiama sfruttamento del lavoro nero. Le norme per combatterlo ci sono, dobbiamo smetterla di far finta di non vedere. Ma c’è anche la responsabilità della comunità cinese, che deve avere un ruolo più attivo e aperto. Se vogliamo integrazione, dobbiamo coinvolgere gli immigrati nella partecipazione politica, cominciando dal voto amministrativo. Questo è un grande tema: potrebbe sembrare un’eresia ma è l’unica soluzione seria per ottenere integrazione. Insomma, come vede, siamo molto lontani da un possibile accordo con Alfano.