Dall’esito delle elezioni regionali dell’Emilia Romagna dipendono, oltre alla tenuta del governo nazionale, anche le speranze del Pd di continuare ad essere l’ago della bilancia dello schieramento alternativo alla destra senza mai pagare prezzi in termini di contenuti programmatici. La sproporzione di forza con gli altri cespugli della sinistra ha permesso fin qui di far scattare la molla del voto utile, in particolare di fronte allo spauracchio Salvini. Comunque vada il risultato del 26 gennaio, le elezioni emiliane hanno dimostrato che l’arroganza di Bonaccini e del suo partito sono destinate a lasciare il posto alla politica.

Sabato scorso a Ravenna si è infatti svolto un partecipato e appassionato dibattito sul merito della legge urbanistica regionale, la n. 24 del dicembre 2017, la peggiore legge urbanistica regionale, fortemente voluta dal Pd con un atteggiamento di chiusura verso le ragionevoli proposte correttive che venivano dallo schieramento di comitati, associazioni e urbanisti democratici raccolti intorno a Eddyburg, del compianto Edoardo Salzano. Non ci fu nulla da fare: la legge fu approvata. Ma il dissenso è riemerso ancora più maturo e determinato durante la giornata organizzata da Ravenna in comune, storica e autorevole associazione che da anni tiene insieme tanti pezzi della sinistra.

Alle critiche verso la legge erano chiamati a rispondere i candidati di tutti gli schieramenti in corsa. Erano presenti in molti, ad eccezione del Pd, della Lega e dei 5 Stelle, a dimostrazione della riconosciuta autorevolezza dei compagni ravennati. Il fatto nuovo è che insieme a AltraER e Potere al Popolo hanno condiviso le critiche alla legge quattro schieramenti che appoggiano la rielezione dell’attuale presidente della regione: la stessa lista Bonaccini, con più cautela e sfumature degli altri, è stata comunque critica. Poi, la lista ER coraggiosa rappresentata da Silvia Prodi, consigliera regionale uscente (purtroppo non ricandidata), Europa Verde con Sauro Turroni e la lista Volt con Erblin Berisha pur appoggiando Bonaccini hanno distrutto l’impianto della legge.

Un brutto campanello d’allarme per il Pd che dovrà dunque affrontare sin da subito gli opportuni cambiamenti di una legge indecente. Per comprendere il baratro in cui è stata fatta piombare la cultura regionale, basta citare i due cardini della legge. I piani urbanistici comunali si costruiscono sulla base delle richieste che provengono dalla proprietà fondiaria (art. 4). Stiamo parlando, come noto, di una regione ricca e sviluppata, piena di aziende produttive di eccellenza che esportano nel mondo. Segno evidente che l’urbanistica pubblica ha saputo garantire 50 anni di buon governo del territorio. Si è deciso di passare alla fase delle speculazioni anche sulle aree agricole. Dalla produzione alla speculazione, verrebbe da dire.

Il secondo punto riguarda il fatto che per far ripartire l’edilizia si puntano tutte le carte su generosi incrementi di volumetria per i privati che demoliscono e ricostruiscono immobili. Non è la collettività che decide dove intervenire, ma è la proprietà a disegnare il futuro delle città. Insomma, la legge urbanistica Bonaccini ha mutato l’urbanistica pubblica che con Pierluigi Cervellati aveva reso famosa nel mondo l’esperienza del recupero del centro storico di Bologna, nella peggiore legge neoliberista in vigore in Italia. Scherzi amari dell’involuzione culturale del Pd che, come dimostra l’evento di Ravenna, ha mostrato la corda e dovrà essere rivista a partire dal 27 gennaio.