C’è uno spettro che si aggira dietro la complessa questione delle dichiarazioni di Schiavone. Un fattore che potrebbe mettere in discussione molti progetti – più o meno dichiarati – nel delicatissimo settore dei rifiuti nel Lazio. E’ una variabile impazzita, rimasta dormiente per anni e che oggi riappare. Si chiama Borgo Montello, la seconda discarica della regione Lazio, grande quanto una cinquantina di campi da calcio. Accoglie milioni di metri cubi di rifiuti, sversati dagli anni ’70 in poi, con una catena di comando che riproduce uno schema sperimentato in tante regioni italiane.

La prima gestione – senza tutele ambientali – fu del comune, che buttava i sacchetti dentro gli avvallamenti di questo pezzo di pianura pontina, terra di bonifica, fertile e una volta produttiva. Poi, dai primi anni ’80, gli invasi sono passati ai signorotti locali, la società Pro.chi, formata da ex profughi – italiani – ritornati dalla Tunisia, sponsorizzati dai socialisti craxiani. Vent’anni fa sono infine arrivati i grandi gruppi industriali, che hanno acquistato a peso d’oro terre e autorizzazioni: ci sono i milanesi del gruppo Grossi – con la Ind.eco – e il romanissimo Cerroni, in società con il comune di Latina, con Ecoambiente. Ora questa zona si prepara a diventare uno dei principali poli regionali di trattamento dei rifiuti, con una capacità ben superiore al fabbisogno della provincia. Ed è chiaro che il mercato di riferimento potrebbe diventare quello romano, dopo la chiusura del mostro Malagrotta.
Nei giorni scorsi la Dda di Roma ha aperto un fascicolo partendo dalla testimonianza di Carmine Schiavone. Tanti sono i riscontri. E i veleni sepolti negli anni passati dai casalesi sono la variabile impazzita che potrebbe far saltare i piani per trasformare le terre di Latina nel nuovo polo dei rifiuti del Lazio.

In provincia di Latina, tra Borgo Montello e Aprilia, la Regione Lazio sta preparando autorizzazioni per trattare quasi un milione di tonnellate all’anno di monnezza. Una quantità abnorme, di fronte ad una produzione che oggi – con la differenziata ben al di sotto di quanto prevedono le norme – supera di poco le trecentomila tonnellate. Il resto? «Si va verso un mercato regionale dei rifiuti – commentano alcune fonti istituzionali che chiedono di non essere citate – dove i privati potranno accogliere i sacchetti di rifiuti prodotti anche a Roma». E i privati, da queste parti, sono pronti da tempo. Ad Aprilia c’è la Rida Ambiente, che oggi produce il combustibile per rifiuti da bruciare nell’inceneritore di Colleferro, accogliendo i compattatori dei comuni della provincia di Latina. A Borgo Montello i due gestori hanno presentato progetti per realizzare altrettanti Tmb, impianti di trattamento di fatto alternativi alla differenziata porta a porta. Quello di Ecoambiente ha ricevuto tre settimane fa l’autorizzazione della Regione. L’appalto per la realizzazione è già stato affidato provvisoriamente. A chi? Ai due soci privati, Cerroni e la Unendo di Francesco Colucci, unici partecipanti alla gara. I tre impianti saranno in grado di ricevere e trattare la monnezza proveniente da tutto il Lazio. Ed ecco che si profila all’orizzonte la nuova Malagrotta, al di fuori del Grande raccordo anulare, dove le proteste si affievoliscono e le telecamere rimangono lontane.

Le terre di Borgo Montello sono però contaminate. Il buon senso e la corretta pratica ambientale imporrebbero di sospendere tutto andando a cercare i veleni, bonificando quelle terre. Lo scorso maggio l’Arpa Lazio ha consegnato una prima versione dell’ultimo rapporto ambientale agli enti locali. Quei dati, però, sono rimasti segreti. Ufficialmente la Regione Lazio ha fatto sapere che lo studio non è completo: mancherebbe la valutazione complessiva dell’Ispra. Il 10 ottobre la stessa Regione ha rinnovato l’autorizzazione per gli impianti esistenti e la futura piattaforma di trattamento dei rifiuti della società collegata a Cerroni. Negli atti dell’iter non c’è traccia dei veleni trovati dalla stessa Arpa nei monitoraggi precedenti (2005-2009). Spariti nel nulla. E nessuno, tra gli organi incaricati, ha sollevato il problema dello studio ambientale in teoria ancora incompleto. E’ prevalsa la realpolitik della monnezza.

Sul quadro pesano come macigni le parole di Carmine Schiavone. Trovare i fusti, dare un volto ai veleni infilati nelle falde acquifere potrebbe far saltare l’intero sistema, bloccando quel disegno non detto di trasformare le terre della pianura pontina in un distretto dei rifiuti.