Per questa settimana non se ne parla. Oggi c’è il congresso di Fratelli d’Italia, il voto finale sulla riforma elettorale slitta a lunedì se tutto va bene. Facile che si vada anche più in là. Ma la strada resta accidentata e a questo punto nessuno più s’illude che il Senato si limiterà a ratificare senza un fiato le conclusioni di Montecitorio.

L’allarme rosso inizia a strepitare quando si arriva alla quinta votazione. Riguarda il cuore dell’Italicum, le soglie di sbarramento. Propone di abbassarle drasticamente, dal 4,5 al 3% per i partiti coalizzati, dall’8 al 5% per quelli non coalizzati, dal 12 al 10% per le coalizioni. Con voto segreto, su richiesta di Sel, l’emendamento che smantellerebbe l’Italicum viene respinto, ma con appena 292 no. Significa che tra assenti e franchi tiratori mancano all’appello un centinaio di voti di maggioranza. Significa anche che, senza il soccorso azzurro di Fi, la legge sarebbe stata affossata ieri. Non è un segnale rassicurante per Matteo Renzi.

«C’è stato qualche voto in meno, ma in linea con quanto prevedibile. Il percorso sta confermando la tenuta dell’accordo», minimizza Lorenzo Guerini a nome della segreteria Pd. Ottimismo d’ordinanza, perché l’aria che tira non è affatto rasserenante. E’ vero che al Senato il voto non sarà segreto, ma è anche vero che i numeri, a palazzo Madama, sono infinitamente meno sicuri che alla Camera. E lì la legge potrebbe dover fare i conti con una minoranza Pd, che tra i senatori è però amplissima maggioranza, che non si è ancora arresa. Apertasi con un’intervista di Gianni Cuperlo che insisteva sulla necessità di approvare la legge, però modificandola in alcuni elementi centrali, la giornata è proseguita con l’uscita di Maurizo Lupi, non proprio l’ultimo arrivato nell’Ncd, che prometteva il braccio di ferro per introdurre le preferenze proprio al Senato. I popolari sono sul sentiero di guerra e preparano addirittura il ricorso alla Corte costituzionale contro l’accordo che sdoppia le leggi per eleggere deputati e senatori. Scelta civica, dopo un incontro con la ministra Boschi, rivendica i propri emendamenti, «pochi ma qualificanti», e aggiunge che la sorte di quegli emendamenti sarà «rilevante per la posizione di Sc sul voto finale». Se alla miscela si aggiungono i malumori che arriverebbero alle stelle tra le senatrici ove la Camera bocciasse gli emendamenti sulla parità di genere, si capisce perché la strada non è affatto in discesa.

La questione di genere non è il solo nodo accantonato in mancanza di accordo. Resta in sospeso, tecnicamente «accantonato», anche il salva-Lega. Ieri è stato approvato un emendamento che permette ai partiti coalizzati con liste presenti in meno di un quarto dei collegi di essere rappresentati purché in quei collegi superino la soglia del 4,5%. E’ una norma che rende la vita più difficile alle liste civetta e premia le liste locali presenti in una sola regione. Non risolve invece i problemi del Carroccio. Il segretario leghista Salvini giura di «non aver bisogno di salvataggi: ci salviamo da soli». E’ una tipica sceneggiata. Salvini sa bene che il compito di salvare i padani spetta non ai diretti interessati ma a Fi, che di quell’appoggio ha bisogno se vuole sperare di vincere le prossime elezioni. Meno clamoroso mediaticamente, il braccio di ferro non è meno fondamentale di quello sulla parità di genere, anche perché l’eventuale “sgarbo” ai danni dell’alleato di Arcore potrebbe costare rappresaglie.
Come se non bastasse, resta l’incognita sulla costituzionalità del patto sulle due leggi elettorali diverse per Senato e Camera. I costituzionalisti sono divisi. Secondo alcuni la geniale trovata è corretta, almeno per quanto riguarda il rispetto della Carta, secondo altri no. Il guardiano della medesima per eccellenza, Giorgio Napolitano, prima sbotta e a chi gli chiede cosa pensi della legge risponde con palese irritazione: «E’ alla Camera e non ho nulla da dire». Poi ci ripensa e diffonde una nota in cui definisce «fuorviante» chiedergli in questa fase di pronunciarsi o intervenire. Il suo compito, specifica, è solo quello di «promulgare». Però, «previo attento esame». E’ una risposta all’M5S, ma forse un po’ è anche un avvertimento.