Se penso agli interni delle ville dei ricchi nei dintorni di Brescia, mi viene in mente Il magnifico cornuto. Un Ugo Tognazzi in grande spolvero si aggira nervoso fra salotti arredati da antiquari che farebbero, secondo lui, da cascamorto con la sua Claudia Cardinale. Da quel contesto può anche prodursi un caso di pratica del collezionismo tutto diverso. Di Paolo Zani si sa poco, era un tipo schivo e riservato, e la sorte non è stata con lui gentile: la Fondazione che ora apre i battenti associa il suo nome a quello della figlia prematuramente scomparsa. La casa è stata mantenuta com’era, con pochi adattamenti, e ha aperto al pubblico a febbraio; pochi avranno sinora avuto modo di vederla. Alla visita si può premettere la lettura del libro pubblicato da Electa, Abitare l’arte Casa Museo Paolo e Carolina Zani, con i testi del curatore della neonata casa-museo, Massimiliano Capella, e di Alvar González-Palacios, e le fotografie di Massimo Listri (pp 306, euro 30,00).
A cospetto di firme così illustri, si incappa in una certa delusione quando si scoprono i dettagli e gli allestimenti della villa del 1976 progettata dall’architetto Bruno Federigolli, con tanto di specchio d’acqua, vicino ai busti di mori e di imperatori romani. Si vede che in quegli anni il modello gettyano di Malibu agiva con prepotenza dominante, anche nelle Prealpi. Ma è un fatto indubbiamente positivo che una collezione di più di ottocento opere, con alcuni capolavori, diventi di fruizione pubblica, ad arricchire un paesaggio che ha già negli oratori del Romanino in riva ai laghi qualcosa di impareggiabile.
Le rotture nella history of taste di haskelliana memoria spesso coincidono con i grandi rivolgimenti politici, o può bastare un collezionista per cambiare il volto di un’epoca, ma è del tutto spiegabile che un piccolo imprenditore del Nord Italia di oggi maturi le stesse predilezioni di un Rothschild nato un secolo prima di lui, o di un magnate americano dell’acciaio che ha superato brillantemente la Grande Depressione.
E infatti a Casa Zani ritroviamo i classici di un canone e di un tempo borghese tutt’altro che al viale del tramonto. Ma scorriamo i pezzi da novanta: come i cassettoni di Giuseppe Maggiolini che provengono dalla villa Sola Brusca di Cernobbio. Sia le cariatidi che le tarsie con i trionfi delle dee hanno una leggerezza che durerà poco; poi il 1789 porterà con sé un altro modo di guardare ai Greci e ai Romani, anche a Milano. A volte anche le provenienze servono a garantire un tracciato riconoscibile di importanza sociale, ma le poltrone e il guéridon veneziani passati da casa Thyssen-Bornemisza a Parigi non hanno bisogno di ulteriori riprove: sono fra i più vivaci esempi di invenzione rococò praticati in Italia.
Risalendo all’indietro il secolo, è canonico avvicinarsi al tempo e alla corte di Luigi XV, per strappare con un François Boucher l’illusione che Madame di Pompadour sia ancora mitizzabile. La commode disegnata da André-Charles Boulle viene dalla collezione del duca di Newcastle e un’altra, dei van Risemburgh, addirittura dal duca di Westminster: raro vederne così in Italia, e peraltro parecchie opere risultano acquistate pochi anni fa, nel clima competitivo delle aste londinesi. Un tavolo che ha un piano di pietre dure dal disegno mozzafiato, prodotto della manifattura granducale fiorentina, è stato trasferito in Inghilterra a fine Settecento, da George Byng, che completa l’opera commissionando nella sua patria una base con quattro ippogrifi: un oggetto così è unico.
Nel caso della Veduta di Villa Loredan a Paese di Francesco Guardi, per Zani la rincorsa al capolavoro è durata qualche decennio. È forse il dipinto più bello della collezione, e i signori raccolti nei dintorni della villa ammirano i verdi e gli azzurri, l’orizzonte e la campagna, quasi più di noi. Ci si può affidare, per chiudere, allo sguardo sereno della Testa di vecchio di Tiepolo. Le pennellate sprezzanti sicurezza di barba e sopracciglia, da far invidia a un impressionista, potrebbero innestare una certa modernità nella villa di Cellatica, se non fosse che lo sguardo è troppo malinconico e rivolto al passato.