Fecondo smarrimento «formale», serrato gioco contrappuntistico, ricerca timbrica acustico-elettronica, spiazzamento rispetto ai “generi”. Il quintetto degli Yellow Squeeds (nome intraducibile e aperto a libere associazioni, «come le forme assunte dalle nuvole») – guidato da Francesco Diodati – ha chiuso con la sua performance i concerti dal vivo di RadioTre Suite, dalla sala A della sede romana di via Asiago.

É STATA un’occasione per aprire una doppia finestra: la prima sui programmi musicali estivi della rete radiofonica e la seconda sulla poetica di uno dei gruppi di punta del giovane jazz italiano contemporaneo. Pino Saulo, che ha condotto la diretta, ha annunciato che «il jazz prosegue dai microfoni di RadioTre e d’estate la programmazione diventa un «festival dei festival”, con una serie di collegamenti dal vivo e tantissima musica ogni sera. Il jazz, a partire dalla prima settimana di luglio, si sposterà in seconda serata – orario variabile, tra le 22 e le 23 – e sarà in onda due volte a settimana. La settimana prossima trasmetteremo un concerto, registrato a Copenhagen, di Kamasi Washington». Tanta musica, quindi, su RadioTre: classica, jazz e, come di consueto, un po’ di tutti i generi.

IL CONCERTO ha proposto la musica inconsueta e timbricamente atipica degli Yellow Squeeds: Francesco Diodati (chitarra elettrica, leader, composizione), Francesco Lento (tromba), Glauco Benedetti (tuba), Enrico Zanisi (piano, tastiere), Enrico Morello (batteria). Prima del recital, sollecitato da Saulo, il leader ha risposto ad alcune questioni, utili per mettere a fuoco la poetica del quintetto. «La sfida è stata mettere insieme un ensemble dal suono che non conoscevo ed è sempre un ricercare quando compongo la musica. (…) Parto da una bozza d’idea di suono, poi rimescolo molto le carte perché, avendo dei musicisti dalla personalità molto forti, emergono spunti a cui non avevamo pensato o idee inaspettate, anche se il 90% della musica viene scritto da me».

QUASI tutto il materiale proposto proviene dal secondo album del gruppo, quel Never the Same uscito da poco per la Auand; l’etichetta di Marco Valente da tempo segue, stimola e documenta una scena sonora che travalica i generi, come provano le recenti uscite del quartetto di Luca Sguera (“Aka”) o del trio Luz (“Encelado”; Giacomo Ancillotto, Igor Legari, Federico Scettri).

Gli Yellow Squeeds – sia che suonino River oppure Irrational Numbers o Folk Song – assemblano una musica intrisa di elettronica (soprattutto attraverso il leader) come di acusticità (gli ottoni), dove tromba e chitarra eseguono/sezionano temi e melodie in sequenze a volte prevedibili altre fuori da schemi e forme note, usando anche un tempo libero. L’azione di «collante» di Zanisi e Morello sottolinea ed amplifica il fondamentale profilo ritmico dei brani: in essi non mancano “crescendo” in cui l’improvvisazione si articola in serratissimi contrappunti. Non a caso Diodati ha affermato: <

IL PROBLEMA, se problema è, potrebbe essere quello di identificare modelli e matrici che sono molti ma come «centrifugati» in una sintesi che li supera e propone una alchimia sonora spesso mutevole ed una rotazione circolare di ruoli e compiti. Pezzi che affascinano, inquietano, coinvolgono e percorrono in libertà strade a volte inedite. I brani cambiano molto nella dinamica del gruppo e ciascun musicista è, a suo modo, compartecipe come autore perché – e questo è un tratto pienamente jazzistico – dà il suo inconfondibile contributo all’ensemble. «Non so a che genere sonoro appartengo – ha detto ancora Diodati -, lo lascio dire agli altri; mi piacciono così tante musiche diverse e la musica nasce senza genere… Sto cercando di sviluppare sempre di più una mia ricerca personale».