«Le società si muovono per forza d’impulsi», scriveva nel suo Saggio politico sopra le vicissitudini inevitabili delle società civili, stampato a Vienna nel 1791, a due anni dall’Ottantanove, Antonio de Giuliani. E rifletteva che «in politica, come in tutto il resto della natura, gli effetti appariscono, ma le cause sono sempre ignorate». Secondo de Giuliani le energie che agiscono nel profondo, obbedendo alle regole imperscrutabili dei loro ritmi e modi, salgono alla superficie della società e rivelano i mutamenti che sono giunti a maturazione, senza essere stati determinati da un riconoscibile e coerente intervento o progetto ‘politico’.

L’arte della politica, raccomanda de Giuliani, consiste allora tutta nell’affidarsi a quella dinamica degli ‘impulsi’ senza illudersi di dominarne le ‘cause’. E sulla questione delle ‘cause’ che determinano le trasformazioni delle società, la condanna di de Giuliani, che quelle ‘cause’ vuole insondabili e non afferrabili, è risultata senza appello. Di quanto si afferma nella società, si attesta e prende campo come mutamento e induce trasformazione è possibile, sì, dare conto e prendere consapevolezza, ma, dice de Giuliani, solo dopo che il cambiamento si è manifestato a seguito dei poderosi flussi, autonomi e non governabili, che sommuovono le società.

Avvertimenti, nel corso di due secoli respinti e denegati, nella teoria e nella prassi, dalla ‘politica’ e dai governi. La lezione di de Giuliani e quelle inascoltate sue severe, terribili parole – le vicissitudini inevitabili delle società civili – mi son tornate alla mente nel tentativo di ragionare intorno all’episodio dell’assassinio del ventunenne Willy Monteiro Duarte, perpetrato la notte tra il 6 e il 7 settembre da un gruppo di giovani suoi coetanei. Un delitto che, d’un sol tratto, mostra la presenza, attiva e partecipata, di comportamenti e convincimenti consolidati e diffusi, particolarmente in alcune fasce giovanili della società attuale.

Le modalità del delinquere, si sa, sono indicatrici eloquenti d’una determinata situazione sociale, e quelle degli omicidi in specie. Quello di Monteiro Duarte è, se possibile più di altri consimili, un omicidio eseguito in circostanze e forme paradigmatiche. Ebbene, per provare ad intendere il paradigma sociale che quel delitto mostra, debbo sottoporre ad una revisione rigorosa gli strumenti di indagine in mio possesso (e cominciare dal tener in problematico e proficuo conto gli argomenti di de Giuliani). Così come debbo, contestualmente, impegnarmi a saggiare, dei miei attrezzi interpretativi, la adeguatezza e affidabilità, deciso a non fraintendere i caratteri di quella che si mostra (qui sotto specie di assassinio) come una già compiuta, ovvero profonda, maturazione dei comportamenti e dei convincimenti di estese frange di cittadini adulti.

E impegnarmi a non travisare le conseguenti ‘nuove’ mutazioni che coinvolgono un esteso brano del tessuto sociale, svisandolo entro parametri vecchi. Il che sarebbe darmi risposte già contenute nelle domande e non, invece, formulare domande alle quali, per ora, non sono in grado di dare compiute risposte. Tra l’altro, una volta ricostruite a posteriori le cause di quei comportamenti e convincimenti e degli atti che ne derivano, si intende bene che la correzione degli effetti nefasti che producono richiede interventi in grado di cambiare, di mutare alla radice la situazione. Ma come intervenire, per rovesciarne le conseguenze nefaste, su un profondo processo che è maturato e si è attestato compiutamente nel corpo della società? Dei molteplici termini della vita giovanile messi in luce dall’assassinio di Monteiro Duarte alcuni sembrano dominanti.

La friabile educazione scolastica. L’ostruzione dei percorsi che dalla scuola portano ad una conseguente occupazione e, invece, il carattere incerto, avventizio e instabile d’una eventuale professionalità conseguita. Le relazioni omologate in luoghi di residenza anonimi, quasi integralmente sostituiti dai luoghi dell’universo digitale dove, scisso, vivo una vita che mi dico vera, e me ne esalto, in immagine, convincendomi ubiquo e onnipotente.