Sulla Alan Kurdi si profila uno scontro tra Italia e Germania. La nave della ong tedesca Sea Eye è stata posta sotto sequestro amministrativo il 5 maggio scorso a Palermo, al termine di un’ispezione della Guardia costiera che avrebbe riscontrato una serie di irregolarità. Nel porto siciliano l’Alan Kurdi era arrivata dopo il periodo di quarantena svolto in seguito al trasferimento sulla nave «Rubattino» della compagnia Tirrenia di un gruppo di migranti salvati nel Mediterraneo. Il provvedimento è stato giustificato con la presenza, riscontrata nel corso dell’ispezione, di «diverse irregolarità di natura tecnica e operativa tali da compromettere non solo la sicurezza degli equipaggi ma anche delle persone che sono state e che potrebbero essere recuperate a bordo». E come per l’Alan Kurdi il sequestro amministrativo è stato disposto anche per un’altra nave, l’Aita Mari della ong basca Salvamento Maritimo, anch’essa ormeggiata a Palermo e battente bandiera spagnola.

A contraddire il rapporto della Guardia costiera è però intervenuto ieri il ministero dei Trasporti di Berlino. «Non esiste nessun rischio sicurezza per la Alan Kurdi» afferma una nota nella quale si spiega che alla ong sono stati forniti «i certificati necessari» alla navigazione «dato che aveva tutti i requisiti per il funzionamento». Da Berlino si aggiunge di essere in contatto con le autorità italiane e con il proprietario della nave allo scopo di chiarire la situazione, ma su un punto le autorità tedesche non sembrano voler transigere: «Secondo l’opinione dell’amministrazione della Germania, stato di bandiera della nave – conclude infatti la nota – le irregolarità riscontrate dalle autorità italiane non presuppongono gravi problemi di sicurezza».

Comunque andrà a finire la vicenda della Alan Kurdi una cosa è sicura: in un momento in cui le partenze dei migranti dalla Libia si intensificano, non c’è nessuno pronto a soccorrere i barconi che dovessero trovarsi in difficoltà. Alan Kurdi e Aita Mari erano infatti le ultime due navi ancora attive nel Mediterraneo visto che quelle della altre ong sono ferme nei porti per opere di manutenzione rese più lunghe dall’emergenza coronavirus. La Open Arms, dell’omonima ong spagnola, è all’ancora nel porto di Burriana, in Spagna, dove solo in questi giorni è stato possibile ricominciare i lavori.

Nello stesso porto si trova anche la Sea Watch 4, nuova nave della tedesca Sea Watch, mentre la Sea Watch 3 si trova in Sicilia, come la Mare Jonio di Mediterranea che si trova a Palermo. L’Ocean Viking dei francesi di Sos Mediterranée è invece ormeggiata a Marsiglia, anch’essa in attesa di poter ripartire. E ora che Alan Kurdi e Aita Mari sono sotto sequestro, della flotta delle ong non resta neanche una nave in grado di svolgere le attività di ricerca e soccorso.

«Se l’interesse fosse la sicurezza, come scrive al Guardia costiera, in mare ci sarebbero le navi Sar italiane ed europee. Invece si lascia il compito di salvare le vite alle navi delle ong salvo punirle con controlli pretestuosi per scoraggiare i soccorsi», accusa Sea Watch. Di «intimidazione» e di argomentazioni «grottesche per giustificare il sequestro amministrativo subìto parla la stessa Sea Eye, mentre per Mediterranea i controlli «non devono diventare ossessivo accanimento e, tanto meno, pretesto per penalizzare o addirittura fermare chi salva vite umane».

Il tutto mentre continua a mancare un piano di soccorso europeo lungo quella che è stata definita la rotta più pericolosa del mondo. «I fatti degli ultimi giorni dimostrano che non c’è la volontà degli Stati europei di intervenire in modo strutturale garantendo la vita di chi fugge» commenta Riccardo Gatti, capo missione di Open Arms. «Dopo il decreto che ha chiuso i porti e le omissioni di soccorso che a Pasqua hanno portato alla morte di 12 persone, si fermano ancora una volta le ong che sono le uniche che continuano a difendere i diritti e a denunciare le violazioni che avvengono in mare».