Tutto è pronto per partire. Le due piccole valigie sono state caricate nel portabagagli. Sarà un soggiorno breve. Si tornerà a casa il più presto possibile. Il viaggio sarà lungo. Per arrivare a Levice, una piccola città della Slovacchia, da Varsavia ci vogliono 8-10 ore di macchina. Piotr, 26 anni, studente universitario, ha pensato che fosse meglio partire in prima serata, fare la strada con calma, magari una piccola sosta per sgranchire le gambe e riposare qualche ora, così da arrivare puntuali alla clinica. Con lui c’è Magda, la sua ragazza, 24 anni, anche lei studentessa universitaria. Giungono a Levice alle 9,30. L’appuntamento era stato fissato per le 10 del mattino. Alla reception, i due ragazzi vengono accolti da un’infermiera che li fa accomodare davanti una scrivania con un computer per espletare i documenti e procedere al pagamento dell’intervento: 350 euro. Subito dopo, Piotr viene cortesemente invitato a lasciare il reparto e tornare dopo le 2 del pomeriggio.

La coppia chiede di restare insieme, ma l’infermiera risponde che non è possibile perché in sala operatoria si trova un’altra ragazza, anche lei polacca, e per motivi di privacy non è permesso a nessuno la permanenza. Lui abbraccia Magda e va fuori. Giusto il tempo di fumare un intero pacco di sigarette e fare avanti e indietro lungo il vialetto che porta all’entrata della clinica e sono già le due. Piotr torna dentro il reparto, e poco dopo esce insieme a Magda. L’intervento è pienamente riuscito. La tiene stretta a lui, la consola e gli asciuga le lacrime che le solcano il viso. Non c’è tempo per fermarsi, devono subito ripartire per Varsavia.
Vi sembra una storia romanzata? Non lo è. Le uniche parole di fantasia sono i nomi dei due ragazzi. Il resto è il racconto di una delle tante, tantissime coppie polacche che ogni giorno affollano il reparto di ginecologia della Mediklinik di Levice. A prima vista sembra una cittadina anonima, fuori dai circuiti turistici. Niente meraviglie architettoniche o musei da urlo, ma il centro storico è curato e le strade sono pulite, e c’è anche un grande parco pubblico pieno di mamme con i passeggini, anziani che siedono sulle panchine e coppiette di adolescenti che amoreggiano. La clinica si trova a 10 minuti di macchina dalla stazione ferroviaria, in una collina immersa nel verde e nella tranquillità. E’ specializzata in ortopedia, chirurgia estetica e (da alcuni anni) aborto terapeutico. Sul sito web (www.mediklinik.sk) è possibile leggere in polacco tutte le informazioni necessarie. Basta telefonare, fissare l’appuntamento e presentarsi in clinica. Tutti gli esami verranno effettuati prima dell’intervento. Il tutto dura poche ore e poi si può tornare a casa. Il personale medico ed infermieristico parla polacco (slovacco e polacco in paragone sono come spagnolo e italiano) e rende meno traumatica la degenza delle pazienti.
Zoltan Csendes, direttore della clinica, ci dice che l’80% di chi viene qui per l’aborto terapeutico è polacco, ragazze tra i 20-25 anni. In media vengono effettuati 4 interventi al giorno. Il costo dell’operazione è la metà, rispetto ad una clinica privata in Germania o Gran Bretagna, e vista la ristrettissima legge polacca sull’aborto, sono tanti quelli che scelgono di mettersi in viaggio per Levice invece di trovare un ginecologo compiacente in Polonia per l’aborto clandestino, il cui costo varia dai 2 ai 4 mila zloty (500-1.000 euro). Non esistono dati ufficiali, ma le associazioni per i diritti delle donne calcolano che in Polonia ogni anno vengono effettuati circa 180 mila aborti clandestini. Nella maggior parte dei casi, l’intervento chirurgico viene fatto in appartamenti privati, in un ambiente poco sterile e con l’ansia costante del medico che vuole portare a termine l’operazione nel più breve tempo possibile. Se viene scoperto, finisce in galera.
Tutto ciò, ovviamente, se hai i soldi per farlo. In caso contrario, ci sono le “mammane”. È nelle campagne, lontano dalla modernità, che si consuma la tragedia di tante giovani donne. «Molte arrivano in ospedale quando oramai non c’è più nulla da fare perché hanno perso troppo sangue», si confida il dottor M., che ci chiede l’anonimato. Lavora nel reparto di ginecologia in un ospedale pubblico di Poznan. «La situazione in Polonia è drammatica – continua – non solo per le donne, ma anche per i medici. I direttori di molti ospedali sono legati a doppio filo alla politica e hanno amicizie influenti nelle gerarchie ecclesiastiche. Sono loro che dettano la linea, e se la politica ufficiosa dell’ospedale è quella di dire no all’aborto, sempre e comunque, anche i medici non obiettori sono tenuti a farlo. In caso contrario perdi il lavoro».
Abbiamo provato a fare un giro negli ospedali di Varsavia e di Poznan, cercando di parlare dell’argomento scottante con i dottori e gli infermieri in servizio. «No comment», è l’atteggiamento generale. Un’infermiera a Varsavia ha tagliato corto dicendo che «in questo ospedale siamo contro l’aborto, non ci interessa altro». Ed è proprio da queste parole che viene fuori una realtà imbarazzante e paradossale. Pur avendo una donna i requisiti di legge necessari per poter chiedere l’interruzione legale della gravidanza, ciò viene sistematicamente ignorato dalla maggior parte delle strutture sanitarie nazionali.

L’aborto terapeutico viene percepito come un crimine da una parte del mondo medico ed un serio ostacolo alla carriera, salvo poi, per molti di loro, spartirsi senza rimorsi di coscienza il ghiotto mercato degli aborti clandestini. Nel mese di maggio, 3 mila medici hanno firmato una «dichiarazione di fede» in cui chiedono gli sia riconosciuto il diritto di operare in linea con le proprie convinzioni religiose e rigettano alcune pratiche mediche come l’aborto, la contraccezione, la fecondazione in vitro e l’eutanasia. Un documento fortemente appoggiato dalla Curia polacca e dal partito ultraconservatore Prawo i sprawiedliwosc (Pis, Legge e giustizia) che vuole rendere l’aborto completamente illegale. Il governo polacco, stavolta, non ha fatto orecchie da mercante. Il premier moderato Donald Tusk ha sottolineato che «i medici sono obbligati a rispettare la legge; ogni paziente deve essere sicuro che i dottori applicheranno tutte le procedure necessarie in accordo con la legge».
Che sia il primo stop contro l’invadenza della Chiesa Cattolica nella vita pubblica del Paese? Forse no, ma è un passo avanti.