A chiudere la gara è arrivato ieri il nuovo film di Chloe Zhao, uno dei titoli più attesi, che il superpremiato The Rider (in Italia Il sogno di un cowboy) ha «proiettato» nell’universo Marvel alla regia di The Eternals – con Angelina Jolie – annunciato per il prossimo febbraio 2021. E ha convinto Frances McDormand che era la persona giusta per il suo progetto da produttrice, condiviso insieme a Peter Spears (Chiamami col tuo nome) e ispirato al libro-inchiesta della giornalista americana Jessica Bruder, Nomadland. Surviving America in the Twenty-First Century. McDormand del film è anche la protagonista assoluta, magnifica con la sua aura di performer (è stata molto applaudita) capace di entrare nei mondi, di sostenere la macchina da presa sui segni del volto senza trucco, le rughe, il sorriso, di entrare nell’inquadratura in una distanza narrativa senza artifici – l’esatto opposto dei proclami «dogmatici»- in empatia e sensibilità.
Le storie della regista nata a Pechino, che ha studiato alla New York University vivono nel paesaggio del mito americano, nel suo orizzonte infinito la cui linea è quella dei grandi narratori, delle ballate e dei loro eroi silenziosi. Anche Nomadland è un racconto americano dove come nel precedente The Rider Zhao dell’immaginario prova a spostare l’eco sui bordi dell’oggi, e il viaggio, la wilderness, la ricerca di sé «on the road» si uniscono alla realtà del Paese, a un sistema economico, dunque sociale, brutale, fatto di disparità sempre più grandi, in cui «la strada» intesa non come miseria ma scelta di vita può diventare di nuovo un gesto di ribellione. Fren (McDormand) vive sul suo camper. Come tanti altri è una lavoratrice stagionale, si sposta secondo i bisogni del lavoro – quasi una mappa riscritta secondo questo calendario – amazon, la raccolta delle barbabietole, il camping delle vacanze. Non è sempre stato così, è successo, la morte del marito anni prima è il suo fantasma, la miniera dove lavoravano entrambi aveva chiuso, e la loro città, Empire, era stata svuotata dalla recessione del 2008 mentre i lavoratori avevano tutti perso le loro case. Lei aveva fatto un po’ di tutto, le era capitato anche di insegnare, cinque anni in una scuola, una sua allieva la riconosce, le chiede se è vero che come dice la madre è «Homeless», lei risponde che no, che la sua è solo una casa diversa.

NON È PERÒ «spiegare» che interessa Zhao, pure se le motivazioni del suo personaggio ci arrivano con chiarezza – a volte persino troppa, come quando non riesce a dormire nel letto perché troppo abituata alle stelle e al camper. È più a questo universo che orienta il suo sguardo provando a coglierne il movimento in profondità, oltre le spiegazioni che sono evidenti, e appunto rimandano quasi sempre alle economie. Sono i sentimenti che nascono in questa scelta a guidare il viaggio della regista e con lei di McDormand, in riprese durate sei mesi, con attori non professionisti – la stessa Linda May e Swankie che non sappiamo mai perché è lì ma conosciamo invece la gioia dei suoi ricordi, dei vissuti nella natura, dell’esplosione di voli di rondine intorno a lei che – dice – «Dopo avrei potuto morire».

È QUEL PAESAGGIO intimo e fisico che si intreccia con forza e dolcezza alle loro vite mai facili, le Badlands, il South Dakota, l’ovest della frontiera e della leggenda che per i «nomadi» del presente disegna lo spazio di una resistenza in cui ha valore lo scambio, riciclare, inventare, che oppone al destino di emarginazione disperata la possibilità di qualche istante di gioia. In solitudine e in comunità, quella che si ritrova intorno a Bob Wells – autore di How to Live in a Car, in a Van or Rv – un po’ un guru la cui filosofia esistenziale è rifiutare quanto è stato previsto per tutti. Casa, famiglia lavoro – che sono in bilico quasi esattamente come la loro condizione, la solidità sono la terra, le rocce che raccolgono e collezionano nel loro spostarsi.. Giovani, meno giovani, anziani, il loro è un modello radicalmente diverso da del successo miliardario esaltato da Trump. Nomadland è una ballata contemporanea, ci dice il mondo in cui viviamo, delle lotte che lo attraversano, delle sue zone resilienti di cui c’è sempre più bisogno.