Dopo un anno drammatico, quello che ci apprestiamo a festeggiare è un Primo Maggio speciale. Lo sappiamo, nei prossimi giorni e mesi si giocherà una partita difficilissima, quella di progettare e ricostruire il paese, di dare futuro al lavoro, quello che c’è e che va difeso, quello che manca e va creato, in fretta. Il Pnrr, con la disponibilità di risorse pubbliche – nazionali ed europee – e con gli ambiziosi obiettivi sul versante ambientale e dell’innovazione, va nella direzione giusta, scommettendo su riqualificazione, rigenerazione, infrastrutture.

Occorre però vigilare (senza escludere anche la mobilitazione) affinché quel piano produca una crescita di Pil ed «oltre il Pil», per superare quei limiti strutturali che hanno prodotto più disuguaglianze, più povertà, più rabbia e che la pandemia ha disvelato, accelerando processi ed evidenziando le sacche di lavoro povero e precario, di disagio e solitudine. Facendo capire quanto importante sia il welfare universale, il lavoro, l’intervento pubblico. Sottolineo questo aspetto perché tra le pagine del Pnrr vi è qualche riflesso «liberista» di troppo, in quelle «riforme» che dovranno accompagnarne l’attuazione. Riflessi sia in chiave generale che di settore.

In generale aver impostato le proposte di riforma (dalle semplificazioni agli appalti alla concorrenza) richiamando esplicitamente le raccomandazioni Ue all’Italia del 2019 riporta le lancette «indietro», a prima della pandemia, assumendo l’impostazione di quell’Europa «mercato centrica» poi trovatasi nuda di fronte al Covid. Rischiamo cioè di operare una «grande rimozione politica» e di non voler proprio imparare la lezione.

IN TERMINI SPECIFICI, al di là di proposte condivisibili su come ridurre i tempi per le varie autorizzazioni e semplificare la cantierizzazione delle opere, il richiamo esplicito al superamento di fatto del Codice degli Appalti, alle norme per contrastare illegalità e corruzione, rappresenta un pericolo tale per cui potremmo avere (forse) nuove infrastrutture, potremmo (forse) rigenerare qualche quartiere, ma il tutto accompagnato da più precarietà, più sfruttamento, più morti sul lavoro. E – alla fine – anche meno qualità dell’opera stessa.

Quello che infatti nel Pnrr non si dice è che il Codice degli appalti vigente, che si vuole superare con una nuova legge delega, ha recepito le direttive europee ma le ha declinate – come prevedono gli stessi accordi istitutivi della Ue – tenendo conto delle specificità italiane (altro che richiamo nel Pnrr all’Inghilterra o alla Germania). In Italia il 90% delle imprese edili fattura meno di 500 mila euro con una media di 1,6 dipendenti (contro il 12 in Gb e il 16 in Germania); l’impresa nostrana è tra le più sotto capitalizzate dei paesi Ocse (altro che ricerca e innovazione); in Italia vi è il più alto tasso di lavoro nero ed evasione contributiva insieme alla Grecia; da noi, fino a che non avremmo una legge attuativa dell’articolo 39 della Costituzione, vi è un dumping contrattuale tale che nei cantieri si trovano finte partite Iva e l’applicazione di Ccnl come quello colf e badanti, florovivaista, pulizie, eccetera e non il Ccnl edile che da maggiori diritti e più specifiche tutele (a partire da quelle sulla sicurezza); in Italia abbiamo tra i più alti tassi di infortunio grave e mortale a livello Ue proprio nel settore delle costruzioni. E potrei continuare con riferimento ai tassi di corruzione o alla presenza, come è noto, di organizzazioni criminali che proprio negli appalti e forniture si sono nel tempo radicate. Tutto questo per dire cosa?

PER DIRE CHE NON È INDIFFERENTE se le risorse pubbliche cammineranno su stazioni appaltanti più qualificate e su un mercato che premierà le nuove tecniche costruttive, le progettazioni più resilienti, i materiali a minor impatto, con lavoratori tutelati, professionalizzati e ben pagati, oppure se si ricorrerà invece a massicce assegnazioni dirette (senza bandi cioè), con massimo ribasso, catene infinite di subappalti, risparmiando su costo del lavoro e sicurezza, facendo dumping contrattuale. Non sarà indifferente se le risorse pubbliche stanziate per gli incentivi al green building o alla messa in sicurezza andranno ad alimentare lavoro nero (fino a quando non uscirà il decreto attuativo sulla Congruità, questo «rischio» c’è) o invece andranno a generare nuova occupazione regolare (con beneficio anche delle casse Inps).

Occorre capire che se nel settore delle costruzioni non si investe su qualificazione e crescita dimensionale delle imprese, maggiore specializzazione negli affidamenti e lotta al dumping, la ripresa porterà con sé ulteriore frammentazione ed un aumento del lavoro irregolare e degli infortuni. Lo stiamo già registrando in questi primi mesi del 2021. E questo è poco «resiliente». Tutti noi vogliamo il +2% annuo del Pil, ma noi lo vogliamo anche distribuito meglio, con più occupazione, più di qualità e più sicura a favore di una mobilità sociale bloccata da troppo tempo e per troppe persone.

Primo maggio è la festa delle lavoratrici e dei lavoratori: oggi si decide se essi saranno protagonisti dei cambiamenti in atto o se ne saranno vittime. Il futuro si decide oggi, noi non molliamo, la cura per l’Italia è il lavoro. Buono, regolare, tutelato, sicuro.

* Segretario generale Fillea-Cgil