Recentemente uno dei più importanti fondi assicurativi, “metasalute” (4 milioni di prestazioni raggiunte nel 2022) quello per intenderci che assicura la “mutua” (fondo) dei metalmeccanici, ha organizzato un convegno «Servizio sanitario nazionale e sanità integrativa contrattuale» con al centro della discussione la questione delle “convergenze”.

Nel suo intervento il ministro Speranza ha parlato di sinergie spiegando che «c’è bisogno del contributo da parte di tutti, dove la sanità integrativa rappresenta un tassello che va inserito nella nuova stagione di investimenti sul Ssn, prima mattonella di rilancio del Paese».

Da quando l’allora ministra a Bindi nel ’99 ha ammesso tra le prestazioni da erogare privativamente anche quelle già previste nei Lea (livelli essenziali di assistenza) la sanità cosiddetta integrativa di fatto è diventata sostitutiva. Quindi in competizione con il servizio sanitario pubblico.

Le prestazioni che assicura Metasalute dovrebbero essere una sanità privata che integra quella pubblica dove è carente, completandola. In realtà si tratta di una sanità privata in concorrenza con quella pubblica e per giunta incentivata fiscalmente (costo 6 mld), pronta a sfruttare carenze e disfunzioni pubbliche. Metasalute in sostanza si presenta come una sanità on demand che vuole sostituire l’universalismo con il mercato speculando sulle carenze del servizio pubblico.

Personalmente se la sanità integrativa fosse veramente tale non avrei nulla in contrario perché la considererei una estensione di quella pubblica. Il problema politico è che purtroppo così non è. Con la scusa dell’integrazione si vuole fare le scarpe alla sanità pubblica.

Se allarghiamo lo sguardo sono in tanti che ambiscono a fare le scarpe alla sanità pubblica. Si pensi al ruolo quasi surrogatorio previsto nel Pnrr per il terzo settore, alle condizioni favorevoli create per privatizzare l’assistenza di base. Di fatto la riconferma delle politiche di riduzione degli ospedali pubblici (Dm 70) diventa un formidabile incentivo per ricorrere alla ospedalità privata.

Se l’ospedale come prevede il Pnrr resta sotto determinato e il bisogno di cure ospedaliere come dimostra la crisi dei pronto soccorso continua ad essere alto, il Bias si recupera solo con una ulteriore privatizzazione. Sul Pnrr il governo sta procedendo senza l’intesa Stato-Regioni che (si veda la posizione disincantata del presidente della regione Campania De Luca) temono di non avere le risorse sufficienti per mettere in piedi i servizi territoriali loro richiesti.

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Esse sanno in partenza che per attuare il Pnrr dovranno ricorrere al privato appaltando la maggior parte delle prestazioni a cooperative del terzo settore e ai fondi presenti sul mercato. Pochi giorni fa nell’audizione in commissione sanità e bilancio del Senato, il rappresentante delMef ha detto a chiare lettere che per il prossimo futuro per la sanità non ci saranno finanziamenti aggiuntivi avendo avuto la sanità già 15 mld in più a partire dal 2018. Una cifra enorme. Mai la sanità ha avuto così tanti soldi. Al massimo vi saranno alcuni adeguamenti per far fronte all’aumento dei prezzi energetici. Ma poca roba.

Il quadro complessivo quindi non è roseo. Il vero rischio che stiamo correndo è quello di indebitarci con l’Europa per finanziare la sanità con il Mes, ma non allo scopo di avere una sanità sempre più pubblica, bensì sempre più privata. Indebitarci per comprare dal privato la sanità non mi sembra una contraddizione da poco.

La sinistra di governo e il Pd non sono in grado di mettere in campo un progetto di cambiamento, che correggendo gli errori del passato, rimetta al centro il diritto fondamentale alla salute, riformi radicalmente l’idea di sostenibilità, rimuova tutte le contraddizioni che hanno reso la sanità pubblica regressiva e diseguale, al fine di renderla più adeguata ai bisogni delle persone. Una sinistra che si rispetti, alla crisi della sanità, non risponde con soluzioni liberiste ma con un grande cambiamento riformatore.