Un definanziamento che ha tagliato alla sanità pubblica 28 miliardi di euro dal 2010 al 2019, cure essenziali non garantite, progressivi segnali di privatizzazione, sprechi e un documento di economia e finanza (Def) che ha ridotto dal 6,6% al 6,4% il rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil nei prossimi tre anni. E poi una nuova possibile sforbiciata al Fondo Sanitario di 3,5 miliardi tra il 2020 e il 2021 prevista da una clausola di invariabilità finanziaria contenuta nel «Patto per la Salute». Un taglio imposto dalla legge di stabilità approvata dal governo Lega-Cinque Stelle subordinato alle «ardite speranze» di una crescita prevista a dicembre 2018 e smentite ad aprile 2019. Al momento l’annunciato aumento dei fondi (8,5 miliardi in tre anni) è a rischio per evitare la procedura di infrazione per debito eccessivo avviata dalla Commissione Ue.

LA COMBINAZIONE di questi fattori sta «facendo cadere a pezzi il Servizio sanitario nazionale» sostiene il quarto rapporto della Fondazione Gimbe presentato ieri al Senato. L’allarme è talmente alto che ieri la ministra della salute Giulia Grillo (Cinque Stelle) è tornata a parlare di «dimissioni» se il suo governo non garantirà «fondi certi e non balletti di cifre» che rendono «impossibile fare programmazione». «Sulla nostra pelle li abbiamo subiti ogni anno tra legge di bilancio, Def, aggiornamento al Def».

IL SETTE GIUGNO scorso Grillo aveva attaccato i tecnici del ministero dell’economia responsabili, a suo avviso, dell’inserimento della clausola in una «bozza» (poi derubricata a «canovaccio») del «Patto per la salute». Interrogata quattro giorni dopo sui suoi rapporti con il ministro dell’Economia Giovanni Tria, Grillo ieri a margine della presentazione del rapporto ha sostenuto di non «avere avuto contatti con il Mef» e di avere «fatto un appello politico». Grillo si è detta inoltre convinta della sensibilità sul tema da parte di Tria. Ma nel caso in cui la trattativa non dovesse andare a buon fine ha confermato che si dimetterà. Il problema si trascinerà a lungo. Entro agosto il patto per la salute dovrà essere chiuso, ha continuato la ministra. Sempre che nel frattempo le grandi manovre per la legge di stabilità non allungheranno i termini. Grillo, in realtà, è stata più che esplicita: «La clausola contenuta nel nuovo “Patto della salute” è irricevibile politicamente e, come ha già evidenziato qualcuno, ha profili di incostituzionalità. Vorrei un “patto della salute” dove non vi sia questa clausola, altrimenti è un patto della “non salute”». A questo punto resta da capire chi abbia inserito l’incriminata «clausola». La ministra competente no, quello dell’economia ha «una sensibilità». Sarà stata una «manina» dei «tecnici» ad inserire la clausola, ad oggi apparentemente figlia di nessuno. In realtà questo è lo specchio in cui si riflettono le difficoltà di un governo che sostiene di essere contrario all’«austerità», che non taglierà il «welfare», mentre in realtà ha previsto entrambe inserendo la clausola. A chi ha domandato alla ministra Grillo se il suo dicastero è a rischio di rimpasto, l’interessata ha risposto: «Non dovete chiederlo a me. Sono ministro ieri, ministro oggi e ministro domani e continuo a lavorare con tutti i problemi che ci sono».

GLI «APPELLI» lanciati da Giulia Grillo al suo governo sono giustificati dalla situazione drammatica descritta, una volta di più, dal rapporto. Il finanziamento pubblico è «tra i più bassi in Europa, convive paradossalmente con il paniere di Livelli essenziali di Assistenza (Lea) più ampio, garantito però solo sulla carta» ha sostenuto il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta – La mancanza di copertura finanziaria non permette l’effettiva esigibilità di prestazioni che andrebbero garantite a tutti i cittadini. Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia negli ultimi dieci anni nessun esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica». Questa prospettiva sarà ulteriormente aggravata dal progetto Lega-Cinque Stelle sul «regionalismo differenziato» che andrà a colpire profondamente un assetto già pericolante, aggravando le enormi diseguaglianze esistenti tra la sanità del sud e quelle del nord del paese.

DAL RAPPORTO EMERGE anche una prognosi possibile per sollevare la sanità da questo abisso. Entro il 2025 riallineare il sistema agli standard europei con un investimento complessivo pari a 230 miliardi di euro, superando così il «clamoroso abbaglio» del «secondo pilastro» a favore di un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico. Una prospettiva controcorrente.