Quando abbiamo scelto questo film, per aprire il festival, abbiamo pensato anche ai risultati delle elezioni» . Con quest’affermazione poco felice, la primavera scorsa, Dennis Lim ha introdotto al pubblico del ND/NF un festival del Moma dedicato al nuovo cinema, la storia di una ragazza povera, grassa, bianca e troppo esuberante del New Jersey che, contro ogni plausibile dono del destino, decide di diventare una rapper.

Fortunatamente, Patty Cake$, il primo lungometraggio del regista /musicista/videoclipparo Geremy Jasper, un successo di Sundance 2017 e della Quinzaine, sfugge ai cliché paternalistici impliciti all’introduzione di Lin e a molto cinema (indie e non) del post Trump, che improvvisamente sembra aver scoperto «l’altra America». Girato, sulla riva sfigata dell’Hudson, che dal Jersey guarda lo skyline di Manhattan, Patty Cake$ in gran parte evita quei cliché grazie alla sua star, Danielle McDonald, nel ruolo di Patti Dombrowksi, o come la chiamano gli amici, Dumbo, per via della sua stazza.

Il peso non è il solo il problema di Danielle, in questo 8 Miles venato di Purple Rain: il colore della sua pelle (bianca, con guance di un rosa translucido che si accende di fuoco quando canta o si arrabbia) offre continue opportunità di scherno, quando la ragazza si materializza alla gare di rap locale alla base delle case popolari interraziali, dove vive con la nonna novantenne handicappata che fuma come una ciminiera ma che appoggia i suoi sogni di gloria e una madre cantante amareggiata che li scoraggia. «Dumbo» Dombrowki, in arte Patti Cake$, con la sua testa di riccioli biondi, le jersey sportive extra-large, la ridicola parlata hip hop, fa la cameriera per una ditta che organizza banchetti, ma nel tempo libero si allena come Rocky Balboa.

E il film di  Jasper ammicca non poco alla parabola proletaria di Stallone diretta da Avildsen. Per prepararsi alla gara finale, e trovare il suo mojo. Patti si affida a Basterd, un metallaro punk con dreadlock e glaucoma che vive nei boschi -un outsider come lei e come il suo migliore amico, Jehn che è arabo. Il tutto fa un po’ Outcasted Colors of Benetton e lo script patisce di un tocco troppo Sundance. Ma Jasper, forte dell’energia, intrepida e dolcemente rabbiosa, di McDonald dà al film un’anima documentaria e uno spirito originale che per esempio non riesce a Greta Gerwig in una storia coming of age simile a questa come Lady Bird.