Il rilascio dei giornalisti Dundar e Gul, direttore e caporedattore di Cumhuriyet, ordinata giovedì dalla Corte Costituzionale turca, segna un importante passo in avanti per la libertà di stampa in Turchia e, contemporaneamente una sconfitta per le politiche mediorientali del presidente Erdogan, a partire dalla strategia di escalation militare in Siria. Ma gli attacchi contro la stampa non cessano: nel mirino resta soprattutto l’informazione indipendente pro-kurda, spiega al manifesto Irfan Aktan, editorialista kurdo per al-Monitor.

Con la scarcerazione di Dundar e Gul si è aperta una breccia nel muro della repressione interna?

Dundar e Gul sono stati rilasciati, ma ci sono ancora 31 giornalisti dietro le sbarre e 20 di loro sono kurdi. E poche ore dopo il rilascio l’ufficio del procuratore ha chiesto alla Turksat, la compagnia statale di telecomunicazioni, di interrompere la messa in onda del canale pro-kurdo Imc-Tv. Inoltre il caporedattore di un quotidiano pro-kurdo, Azadiya Welat, è stato ucciso insieme ad altri civili nella città sud-orientale di Cizre durante scontri tra combattenti kurdi e forze armate turche. Per questo temo che la Turchia stia cercando di far calare la pressione rilasciando Dundar e Gul per poter aumentare la repressione contro la stampa kurda. Sebbene la loro scarcerazione sia un passo importante per la libertà di stampa in Turchia, potrebbe anche essere frutto di una decisione calcolata.

Come viene percepita dall’opinione pubblica turca la campagna anti-kurda in atto nel paese e fuori?

L’opinione pubblica turca èspaccata. Una parte condivide la politica islamista e nazionalista dell’Akp e non si oppone ai bombardamenti contro le Ypg in Siria. C’è però una parte che, seppur conservatrice e vicina al partito di Erdogan, non è convinta di un tale livello di aggressività sia contro Rojava che contro il sud-est turco. Infine c’è quella sezione di pubblico (che è o di origine kurda o che si oppone per ragioni politiche e ideologiche all’Akp) fortemente contraria. È molto probabile che i kurdi turchi reagiranno ad un eventuale intervento di Ankara in Rojava, così come reagirono nel 2014 quando lo Stato Islamico attaccò Kobane e la Turchia rimase a guardare: nella sollevazione kurda che seguì all’assedio di Kobane oltre 50 civili furono uccisi. E anche stavolta le conseguenze potrebbero essere terribili.

Oggi una campagna militare in Siria è già in corso: l’artiglieria turca sta bombardando le postazioni kurde ad Azaz. Un intervento di terra è immaginabile?

Nonostante le posizioni di Russia e Stati Uniti, l’Akp ha fatto capire che non cambierà la sua attuale politica siriana. Ma, avendo il solo sostegno dell’Arabia Saudita, dovrà pagare un prezzo alto. L’intervento militare in Siria complicherebbe il conflitto, avrebbe effetti devastati perché è ovvio che non solo la popolazione kurda non accetterebbe un intervento, ma avrebbe contro anche la coalizione occidentale, la Russia e l’Iran. Provocherebbe una reazione interna alla stessa Turchia e non penso che il governo voglia assumersi questo rischio. Senza un segnale positivo di Usa e Russia, Erdogan non oserà muoversi.

Quindi Ankara agisce da sola, senza l’avallo degli Stati Uniti e della Nato?

Non ci sono indicazioni che la mano della Nato muova la politica turca contro i kurdi siriani. Al contrario, è Ankara che sfrutta l’appartenenza alla Nato per dare vita ad una coalizione che sia anche anti-kurda. Ma non sta ottenendo l’appoggio che sperava. Se si guarda alle politiche interne dell’Akp, è ovvio vedere come l’approccio anti-kurdo sia il risultato delle radici nazionalistiche e islamiste del partito. L’Akp non tollera il movimento kurdo perché di sinistra, laico, volto all’autonomia territoriale. Questi caratteri, tipici di Pkk e Pyd, contraddicono i piani di Erdogan che punta ad implementare le sue politiche nazionalistiche e turco-centriche sia nel paese che in Medio Oriente.

E per farlo non esita a sostenere anche lo Stato Islamico, come dimostrato da molti giornalisti e attivisti kurdi ma anche dagli stessi Dundar e Gul.

Qualche anno fa il presidente ha provato a realizzare il suo progetto nazionalista con il “sostegno” kurdo, ovvero sfruttando a proprio favore il negoziato del 2013 con il Pkk L’obiettivo era stravolgere i progetti di autonomia kurdi e assorbirli nei piani del governo. Aveva invitato all’epoca anche il Pyd per persuaderlo del progetto. Tuttavia il movimento kurdo ha resistito e non ha voluto abbandonare la propria strategia laica e di auto-governo. L’Akp ha puntato allora sullo Stato Islamico sperando che schiacciasse i kurdi e li costringesse, per salvarsi, a rivolgersi alla Turchia. Non è successo e Ankara ha cominciato a colpire direttamente Rojava.