Al chiuso delle stanze di palazzo Chigi, mentre fuori si consumano le ultime ore di campagna elettorale in attesa dei colpi di scena finali sugli «impresentabili», non si ragiona solo di caso Campania o rischio Liguria. In cima ai pensieri di Matteo Renzi c’è anche la Rai. E, raccontano i bene informati, torna a farsi avanti un’ipotesi che sembrava definitivamente scartata anche perché, si era detto, caldamente sconsigliata dal Quirinale: la «riforma» della governance della tv pubblica per decreto.

Il disegno di legge sulla Rai, approvato a fine marzo dal consiglio dei ministri, è stato lanciato in corsa a palazzo Madama per una rapida approvazione, in modo da evitare il rinnovo dei vertici di viale Mazzini con la legge Gasparri o, in alternativa, una lunga proroga del cda scaduto tre giorni fa con il via libera al bilancio aziendale da parte dell’assemblea degli azionisti. Ipotesi, quella della proroga fino all’autunno, esclusa però da Renzi che a inizio settimana dichiarava: «Riforma entro luglio o nomine con la Gasparri».

Tempi limitati per le audizioni in commissione lavori pubblici del senato, dunque, e un calendario di massima in base al quale gli emendamenti dovrebbero essere presentati entro il 5 giugno (il termine sarà ufficialmente fissato nella seduta del 4). Obiettivo: arrivare al voto del senato, in prima lettura, entro il 20 giugno, e passare subito a Montecitorio per il via libera definitivo entro la pausa estiva. O così o Gasparri, ha ribadito il presidente del consiglio, lasciando intendere che altre strade non ce ne sono.

Ma, appunto, il governo nelle ultime ore sta tornando invece a esplorare una via ancora più veloce (ma anche rischiosa). Nonostante il babau della Gasparri agitato per mettere sull’avviso eventuali frenatori in agguato (ai quali eventualmente addebitare la responsabilità di aver tenuto in vita per un altro giro la legge in vigore) l’impresa di un ok definitivo al ddl entro luglio non è esattamente a portata di mano. I tempi sono stretti, le critiche tante, anche perché il ddl Renzi sul capo azienda (l’amministratore delegato al posto del dg e il cda di 7 membri e non più 9), somiglia molto alla Gasparri, in più concede super poteri all’ad e rafforza il ruolo del governo.

Dunque si affaccia la nuova (vecchia) ipotesi. Che però non sarebbe quella di varare un decreto legge apposito sulla Rai. Ma di aprire, per la Rai, un varco in un decreto che il governo sta mettendo a punto sulla banda larga. Lì dentro potrebbero essere inserite le norme sul nuovo Testo unico della radiotv (il ddl Rai prevede ora che entro un anno dall’entrata in vigore il governo sia delegato a adottare un decreto legislativo che tenga conto dell’innovazione tecnologica e della convergenza delle piattaforme distributive). A quel punto, per mettere alle strette il parlamento, perché non provare a fare un passo in più? Allargando la banda larga fino al punto di infilarci dentro i nuovi criteri per le nomine dei vertici della Rai.