Delle rivelazioni fatte da Akevot e Haaretz abbiamo parlato con lo storico palestinese Salim Tamari, dell’università di Harvard, autore di testi sulla Palestina e i palestinesi prima e durante la creazione di Israele, tra i quali The Great War and the Remaking of Palestine.

È rimasto sorpreso dalla scomparsa di documenti ufficiali israeliani sulla Nakba?

In passato più volte si è saputo della sparizione di un certo numero di file sulla Nakba. Stavolta è davvero preoccupante. Abbiamo appreso dell’esistenza di un dipartimento, il Malmab, della Difesa israeliana incaricato di occultare certi documenti, evidentemente ritenuti molto compromettenti. Una parte rilevante dei materiali scomparsi riguardano le vicende di palestinesi, in prevalenza contadini, che subito dopo la nascita di Israele provarono a tornare (dall’esilio) per coltivare i loro campi, per controllare lo stato delle proprietà. Persone convinte che presto sarebbero rientrate nelle case da cui erano state cacciate o che avevo dovuto abbandonare. Israele non lo ha mai permesso. Moltissimi di loro furono uccisi senza tanti scrupoli dalle forze armate israeliane. Lo affermano anche i documenti fatti sparire. Nei suoi primi anni di vita lo Stato ebraico usò il pugno di ferro contro quelli che definiva «infiltrati», ma che quasi sempre erano civili che provavano a tornare nella loro terra.

Lo storico palestinese Salim Tamari

 

Quei documenti e tanti altri negli archivi israeliani smentiscono la narrazione tradizionale del 1948. Il mondo però non pare interessato ad accertare la verità storica sulla Nakba.

Questo atteggiamento è vero. Già trent’anni fa i nuovi storici israeliani avevano messo in discussione la narrazione ufficiale della nascita dello Stato ebraico. E i palestinesi sono stati in grado di fare altrettanto con la storia orale, le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona la Nakba. Ma la reazione politica e diplomatica della comunità internazionale è stata molto limitata. Quest’ultima vicenda aggiunge nuovi particolari a una storia che tutte le persone di buon senso e obiettive conoscono o che hanno ricostruito da tempo e che invece resta ancora oggi coperta da un pesante velo.

Nel mondo accademico si storce ancora il naso di fronte alla affidabilità della testimonianza orale.

Le cose stanno cambiando. Tanti nuovi ricercatori, palestinesi e non solo, uno di questi è Adel Manna, autore del saggio Nakba e sopravvivenza, stanno irrobustendo la credibilità della storia orale perché dimostrano in vari modi l’autenticità e la sincerità del racconto del testimone, della vittima di crimini e abusi. Tanti studiosi che prima rifiutavano in linea di principio la storia orale perché non fondata su prove materiali, adesso comprendono che ha un fondamento e deve essere considerata con attenzione.

Perché l’occultamento di certi documenti si è accelerato in questi ultimi anni?

Le autorità politiche israeliane comprendono che l’immagine di Israele si sta incrinando, non tanto presso i governi stranieri quanto nel mondo accademico internazionale, tra gli intellettuali, coloro che guardano con obiettività alla vicenda. E corrono ai ripari, ammesso che sia ancora possibile. Lo storico israeliano Benny Morris, che pure non è un progressista, ha scritto un lungo articolo in cui ridicolizza la decisione di alcuni funzionari statali di far sparire ora documenti che sono stati disponibili per anni, lui stesso li ha usati per i suoi studi, e che tanti ormai conoscono.

Quanto è libero l’accesso agli archivi israeliani per gli studiosi e i ricercatori palestinesi?

Per i ricercatori stranieri gli archivi israeliani sono accessibili ma con limitazioni. Per i palestinesi non è mai semplice. Quelli con la cittadinanza israeliana sono facilitati ma anche loro hanno problemi. Quelli che vivono in Cisgiordania e Gaza devono fare i conti tra le altre cose con l’obbligo di avere un permesso per entrare in Israele o a Gerusalemme. Di grande aiuto è la possibilità di consultare gli archivi online ma i documenti disponibili sono pochi.