C’è la volontà di affermare una posizione unita del Cairo e Khartum dietro l’incontro che ieri mattina il presidente Abdel Fattah El Sisi ha tenuto al Cairo con il capo del Consiglio sudanese Abdel Fattah al Burhan. Una prova di forza prima della videoconferenza che qualche ora dopo ha segnato la ripresa dei negoziati tra Egitto, Etiopia e Sudan sulle operazioni di riempimento della Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), l’imponente diga che Addis Abeba sta costruendo sul Nilo tra le preoccupazioni del Cairo e di Khartum. L’Unione africana insiste affinchè si arrivi a un compromesso. Ma il clima è più cupo dopo la sortita di Donald Trump. Venerdì scorso il presidente americano, parlando a un gruppo di giornalisti, ha detto che la Gerd è una questione «veramente pericolosa perché l’Egitto non sarà in grado di vivere così…finirà che loro faranno saltare in aria la diga». E in una telefonata con il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok ha aggiunto che gli etiopi «hanno costruito una diga che impedisce all’acqua del Nilo di scorrere. Non puoi incolpare l’Egitto perché è un po’ sconvolto, giusto?». Parole al quale l’ufficio del premier etiope Abiy Ahmed risposto che Addis Abeba «non cederà ad aggressioni di alcun tipo». Per l’Etiopia, Trump ha dato una giustificazione in anticipo a un possibile attacco militare egiziano alla diga. E il ministro degli esteri Gedu Andargachew ha subito convocato l’ambasciatore statunitense, Michael Raynor, per avere chiarimenti.

 

La tensione tra Washington e Addis Abeba è alta già da un mese, da quando l’Amministrazione Usa ha annunciato la sospensione di parte degli aiuti finanziari all’Etiopia per la mancanza di progressi nei negoziati sulla Gerd. Secondo Rashid Abdi, analista del Corno d’Africa, la scelta a favore dell’Egitto operata da Trump ha avuto l’effetto di una violenta picconata sul fragile negoziato in corso sulla diga. «L’Etiopia sta rafforzando la sicurezza intorno alla diga», riferisce Abdi «le sue misure difensive includono la dichiarazione della regione di Benishangul-Gumuz, dove si trova la Gerd, come di uno spazio aereo interdetto e ci sono anche notizie secondo cui (l’Etiopia) sta installando batterie antiaeree intorno alla diga». L’Etiopia, aggiunge Abdi, «si sente tradita dall’America e Trump ora è una figura odiosa per molti etiopi che sperano in una vittoria di Joe Biden il 3 novembre».

 

Che il Nilo sia la linfa vitale dell’Egitto non è un mistero, è così da migliaia di anni. Il paese delle piramidi ottiene dal fiume più lungo al mondo circa il 97% della sua acqua e vede nella Gerd – alta 170 metri e lunga 1,8 km, dal costo di 4,5 miliardi di dollari, partecipa alla sua costruzione anche la italiana Impregilo – una minaccia alla propria esistenza. Soprattutto per la velocità con cui Addis Abeba vorrebbe riempirla, un paio di anni al massimo contro i 10-15 che propone il Cairo per continuare ad assicurarsi un flusso adeguato di acqua per i bisogni della sua popolazione di oltre 100 milioni di abitanti che vive quasi interamente lungo le rive del Nilo. Il Sudan è meno preoccupato ma guarda ugualmente con sospetto e timore alle intenzioni degli etiopi che potrebbero danneggiarlo non poco se saranno realizzate unilateralmente. Ma la diga è vitale anche per lo sviluppo dell’Etiopia. Rappresenta il più grande progetto idroelettrico dell’Africa e servirà a distribuire energia elettrica a 70 milioni di etiopi attualmente senza corrente.

 

Addis Abeba ha perduto l’appoggio di Washington ma pare aver portato dalla sua parte gli ex nemici eritrei che sulla Gerd avevano sempre appoggiato l’Egitto. Durante la sua visita, il 13 ottobre, al sito della diga, il presidente dell’Eritrea Isaias Afwerki ha espresso posizioni oltremodo concilianti. Si vocifera che in cambio del sostegno eritreo al riempimento della Gerd, l’Etiopia darà una mano ad Asmara contro il Fronte di liberazione del popolo del Tigray.