Voto palese o voto segreto in aula su Berlusconi? La Giunta per le elezioni e la conferenza dei capigruppo rinviano ogni decisione. Sembra quasi che vogliano sottrarsi a una scelta difficile. Ma la politica non è chiamata a scegliere alcunché. La modalità di scrutinio non si decide di volta in volta secondo le convenienze e i rapporti di forza. Si trae dal regolamento, che ci indica per Berlusconi un voto palese.
Per la decadenza non è prescritta una specifica modalità di votazione. Dunque, bisogna guardare alle norme generali sullo scrutinio.
Il voto segreto è consentito solo in due casi. Per l’art. 113, comma 3 del regolamento del senato «sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni comunque riguardanti persone…»; per il comma 4, «a richiesta del prescritto numero di senatori, sono inoltre effettuate a scrutinio segreto le deliberazioni… che attengono ai rapporti civili ed etico-sociali di cui agli articoli 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20,21, 22, 24, 25, 26, 27, 29, 30, 31 e 32, secondo comma, della Costituzione».
Vediamo subito una differenza: il voto segreto è obbligatorio per il comma 3, facoltativo e a richiesta di almeno 20 senatori per il comma 4. Le due ipotesi sono distinte e alternative, come si trae dalla formula «sono inoltre …». E chiamano in causa il presidente dell’assemblea.

Se il presidente dunque ritiene applicabile il comma 3, deve indire una votazione a scrutinio segreto, senza alcuna necessità di una richiesta in tal senso. Né potrebbe ammettere una richiesta di voto palese. Come ho scritto sulle pagine di questo giornale, non ritengo applicabile il comma 3. Rinvio alle argomentazioni già svolte. Ribadisco soltanto che – alla luce di un parere della Giunta per il regolamento e dei precedenti – la votazione sulla decadenza non ricade tra le «votazioni comunque riguardanti persone». È un voto che riguarda primariamente l’istituzione, e non la situazione soggettiva dell’eletto alla carica. Dunque, il comma 3 non impone il voto segreto nel caso Berlusconi. Non porta a un diverso avviso la prassi per cui sulle dimissioni volontarie il voto è segreto ai sensi dell’art. 113, comma 3. Così è stato da ultimo per le dimissioni della senatrice Mangili di M5S (respinte, 3 e 17 aprile 2013) e del senatore Marino del Pd (accettate, 22 maggio 2013). Ma altro è il caso di una cessazione dalla carica imposta dalla legge.
Rimane il voto segreto facoltativo ai sensi del comma 4. Presuppone non una generica connessione alla persona, ma l’attinenza alle norme costituzionali sopra richiamate. Come norma eccezionale rispetto alla prescrizione generale di voto palese, è di stretta interpretazione.
Dunque, la domanda è: la decadenza di Berlusconi attiene agli articoli da 13 a 32 della Costituzione? La risposta è negativa. La cessazione ex lege dalla carica elettiva non mostra attinenza con i diritti e le libertà elencati. La condanna tocca alcuni di quegli articoli, ma non la decadenza che ne deriva. Che invece trova fondamento e disciplina negli articoli 51, 65 e 66 della Costituzione, e specificamente nell’ultimo per quanto riguarda la deliberazione dell’Aula.
Va compreso bene che l’attinenza agli articoli citati è presupposto necessario del voto segreto. Se manca, per la regola generale il voto deve essere palese. L’attinenza è rimessa alla valutazione del Presidente dell’assemblea. Se ritiene – come a mio avviso dovrebbe – che non vi sia attinenza, non può che indire la votazione palese. Nessun ingresso potrebbe avere una richiesta di voto segreto da parte di venti o più senatori. Se invece il presidente ritiene – e non dovrebbe – che l’attinenza vi sia, è tenuto a indire lo scrutinio segreto, se una richiesta in tal senso è presentata da venti o più senatori. La modalità di votazione è determinata dal regolamento. Ma la previa valutazione di attinenza rimane comunque nella responsabilità del Presidente. Ed è certificata dal modo in cui indice la votazione.
Conclusivamente, da una lettura rigorosa del regolamento si trae a mio avviso che il voto sulla decadenza dovrebbe comunque essere palese secondo il principio generale, non trovando applicazione – per motivazioni diverse – le ipotesi di voto segreto di cui ai commi 3 e 4. Il Presidente dell’Assemblea dovrebbe comportarsi in conformità.
Potremo ancora ricordare che, secondo la prassi, le dimissioni per incompatibilità sono comunicate all’Assemblea senza procedere ad alcuna votazione, perché non si può che prenderne atto (ad es., Garavaglia, assessore regionale, 7 maggio 2013; Mantovani, consigliere e vicepresidente di giunta regionale, 3 giugno 2013, incompatibili ai sensi dell’art. 122 della Costituzione).
Anche per Berlusconi se si ritiene la decadenza dovuta ex lege la delibera può essere vista come mera presa d’atto, per cui certo non v’è ragione di voto segreto. Questo tra l’altro vorrebbe la dignità della politica e delle istituzioni. Ma, com’è noto, la dignità non si conferisce per legge.