Thierry Frémaux in apertura della conferenza stampa festivaliera più attesa al mondo ha ammesso che mai come stavolta la selezione è stata difficile e molte decisioni sono state prese all’ultimo. Settant’anni è un anniversario non da poco, e poi, diciamolo, nonostante le critiche, le sopracciglie alzate, i mugugnii, le file e le sale inadeguate al numero degli accreditati il festival di Cannes continua a essere l’appuntamento più ambito per il cinema mondiale nonostante le grosse produzioni, quelle americane in testa, abbiano abbandonato la Croisette da tempo come in genere i festival europei: altri problemi, altre priorità.
Settant’anni dunque, la cifra tonda che campeggia sul poster a fondo rosso omaggio a Claudia Cardinale, una data che – Frémaux dixit – «obbliga all’esame del passato e a una riflessione sul presente e sul futuro». Il festival deve essere un «laboratorio», deve interrogare temi più pressanti dell’attualità come la questione dei rifugiati e dei migranti , anche se « non è un festival politico, sono i film ad esserlo». E se lo scorso anno il tema della sicurezza aveva pervaso l’intera conferenza stampa, quest’anno alle imminenti elezioni presidenziali francesi si è appena accennato con le parole del presidente del festival Pierre Lescure che ha evocato «la suspense« dell’attesa di «un nuovo presidente o di una presidentessa» che verrà a attraversare il tappeto rosso cannois. Certo è che l’atmosfera cambierà sensibilmente secondo l’esito delle urne.
I film. Ventinove, l’Italia anche stavolta in concorso non ci sarà (no Sorrentino no party?) – ma Frémaux ha lasciato capire che nelle prossime settimane vi saranno aggiunte. Due invece i titoli italiani al Certain regard, il film di Sergio Castellitto, Fortunata, dal romanzo di Margaret Mazzantini, protagonista Jasmine Trinca, e l’esordio di Annarita Zambrano Après la guerre, un tema «sensibile» con un terrorista italiano di sinistra in fuga che distrugge la vita della famiglia con le sue scelte (il protagonista è Giuseppe Battiston). E di opere prime ve ne sono nove in questa selezione ufficiale 2017, quasi in concorrenza con le sezioni che per statuto scommettono sugli esordi, la Sémaine de la critique e la Quinzaine – i cui titoli verrano svelati nei prossimi giorni – e soprattutto a sfatare l’immagine del «Cannes Club», di una selezione cioè che punta sempre sugli stessi registi o quantomeno su nomi già passati sulla Croisette. Dodici le cineaste – anche questa una risposta alla polemica di qualche anno fa sulla mancanza di registe nella selezione, tra cui (Certain Regard) Léonor Serraille (che è una esordiente) col suo saggio di diploma alla Femis, Jeune Femme, segno di una nuova generazione – ma già sulla copertina dei Cahiers du Cinéma.

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Non che quest’anno gli affezionati (in gara) manchino – da Michael Haneke con Happy End (Isabelle Huppert, Mathieu Kassovitz, Jean-Louis Trintignant in una storia familiare che si intreccia alle vicende dei rifugiati nel nord della Francia); Sofia Coppola (The Beguiled, era già il film di Don Siegel); Michel Hazanavicius con il suo ritratto di Jean Luc Godard da giovane interpretato da Louis Garrel (Le Redoutable) – ma non ci sarà invece il nuovo film di Godard quello vero – che rappresenta la Francia insieme a L’amant Double di François Ozon e Rodin, biopic di Jacques Doillon. Naomi Kawase (Hikari); Yorgos Lanthimos (The Killing of a Sacred Deer) in cui ritrova Colin Farrell (anche nel film di Sofia Coppola)insieme a Nicole Kidman; Sergei Loznista (A Gentle Creature); Hong Sango-soo che non era mai stato in concorso e che presenta due film, The Day After e in proiezione speciale Clair’s Camera girato con Isabelle Huppert durante lo scorso festival. Anche Castellitto del resto in Francia è una star, e d’autore avendo interpretato i film di Jacques Rivette, mentre Zambrano è già stata sulla Croisette (Quinzaine) con il corto Tre ore.
La novità «outsider» (ma anche loro già noti a Cannes) arriva dai fratelli indie newyorchesi Benny e Josh Safdie in corsa per la Palma con Good Time, interoretato da Robert Pattison. Per l’America ci sono inoltre Todd Haynes (Wonderstruck) e The Meyerowitz Story, produzione Netflix di Noah Baumbach, e fuori concorso How to Talk to Girls at Parties di John Cameron Mitchell (Shortbus).
Nessun accenno ai film di Christopher Nolan, Kathryn Bigelow o Denis Villeneuve, forse non pronti, ma nemmeno a quelli di Xavier Beauvois, Philippe Garrel, André Téchiné, Jean-Claude Brisseau, Nobuhiro Suwa, Mahamat-Saleh Haroun, Wang Bing, Lav Diaz, Richard Linklater, Joachim Trier, Lucrecia Martel…O al nuovo Polanski: troppo «scandalo» negli ultimi tempi intorno al suo nome?
Apertura con Arnaud Desplechin e il suo Les Fantomes d’Ismael (fuori concorso), forse il film con più star (Cotillard, Gaisnbourg) del regista. Sotto il segno della Francia inaugura anche il Certain regard con Barbara di Mathieu Amalric, dedicato alla cantautrice francese.
Fuori concorso Agnés Varda con il doc girato insieme a JR nel Luberon Visages, Villages. Raymond Depardon con 12 Jours, Claude Lanzmann (Napalm) e Al Gore nel film già passato al Sundance An Inconvenmient Sequel. Nell’idea di laboratori di Frémaux guai a mischiare generi, le serie tv evento speciale – i due primi episodi di Twin Peaks (in onda in Italia da 20 maggio) e la seconda stagione di Top of the Lake di Jane Campion non si «scontrano» con il cinema anche perché Cannes avrà tra pochi giorni il suo festival di serie televisive.

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L’impressione nonostante tutto è che di rischi e di curiosità Frémaux nel suo «laboratorio» non ne prenda rimanendo ancorato alla sua visione dell’immaginario. Compresa la realtà virtuale firmata Inarritu (sette minuti di Carne y Arena).