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Sulla crisi in corso a Baghdad Khamenei promuove al-Abadi

Sulla crisi in corso a Baghdad Khamenei promuove al-AbadiAl Abadi e Maliki – Reuters

Iran Per l’ayatollah l’occidente è il diretto responsabile della diffusione di gruppi fondamentalisti islamici come l’Isis

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 10 settembre 2014

L’[/ACM_2]avvicendamento tra Nuri al-Maliki e Haider al-Abadi, alla guida del governo di Baghdad, con l’accordo di Tehran, ha segnato la svolta nella politica estera iraniana. Sono stati proprio gli ayatollah Ali Khamenei e Ali al-Sistani ad abbandonare al loro destino politici e militari iracheni al potere con l’ex premier al-Maliki per sostenere il nuovo corso a Baghdad. Così, con la fine di al-Maliki, la diplomazia iraniana ha dimostrato di poter intervenire sulla crisi politica che avrebbe potuto aggravare gli effetti dell’avanzata dello Stato islamico (Isis) in Iraq.

Ma sul sostegno da assicurare alla missione statunitense anti-Isis in Iraq è scontro nell’élite religiosa iraniana. La guida suprema Ali Khamenei avrebbe dato ufficiosamente il suo assenso alla cooperazione con gli Usa per combattere Isis, insieme alle forze kurde. La notizia è stata però smentita dalle autorità iraniane. Tuttavia, in una delle ultime riunioni dell’Assemblea degli Esperti, Khamenei ha tenuto un discorso dai toni «storici» in riferimento all’impegno iraniano in politica estera. Fin qui la Repubblica islamica ha puntato sulla non esportabilità del modello della rivoluzione del 1979. Eppure, secondo Khamenei, ora qualcosa è cambiato e il mondo sta «entrando in un nuovo ordine» perché l’influenza occidentale sta tramontando. Per questo, l’Iran deve essere «pronto a giocare un ruolo nel nuovo ordine». Secondo Khamenei poi, è proprio l’occidente ad essere responsabile della diffusione del fondamentalismo di gruppi come Isis.

E per questo è giunta l’ora che l’Iran abbandoni il suo tradizionale isolamento. Da parte sua, il presidente moderato Hassan Rohani si è espresso contro il coordinamento con gli Stati uniti per fermare l’avanzata di Isis. Questa sembra una reazione della leadership tecnocrate all’imposizione di nuove sanzioni Usa contro l’Iran in riferimento al programma nucleare. In merito alle ispezioni dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea) nei siti nucleari, le autorità iraniane infatti non avrebbero rispettato le scadenze di settembre, dopo l’annuncio di nuove sanzioni.

Lo scorso aprile, l’Aiea aveva confermato il rispetto dei patti da parte iraniana, inclusa una maggiore trasparenza nelle ispezioni nucleari, stabilite nell’ambito dell’accordo di Ginevra del 24 novembre 2013.

Ma Rohani sta affrontando altre critiche interne. Incassato il via libera a internet di nuova generazione (nonostante le polemiche del clero conservatore), il governo tecnocrate ha subìto la sfiducia parlamentare del ministro della Ricerca scientifica, Reza Faraji-Dana. A facilitare l’impeachment per Dana è stata la sua decisione di riammettere studenti universitari e dirigenti nelle università iraniane già espulsi per i loro legami con il movimento verde (che nel 2009 protestava contro la rielezione dell’ex presidente radicale Mahmud Ahmadinejad).

Tuttavia, i segnali che la politica tecnocrate stia ottenendo alcuni successi ci sono. Sono state rilasciati migliaia di minatori che scioperavano nella miniera di ferro di Bafgh, dopo l’annuncio di privatizzazione dell’inpianto. E il giornalista e prigioniero politico, Mehdi Mamoudian è stato rilasciato dopo 5 anni. Mentre il comandante delle forze speciali (Lef), Hassan Karami ha ammesso che la polizia ha commesso errori nelle proteste del 2009. Il Lef, che ha collaborato con i pasdaran e i basiji per reprimere le proteste, è conosciuto per la sua brutalità nella censura delle contestazioni.

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