La terra nera del Vesuvio, ricca di fosfati e minerali, fertile e odorosa, è la protagonista di Sul Vulcano, il film documentario di Gianfranco Pannone, uscito nelle sale nei giorni scorsi, che s’interroga sulla montagna che domina Napoli e i suoi dintorni. Un reportage con l’aiuto di suggestioni letterarie (da Malaparte a Lewis e tanti altri, letti e raccontati da voci note come Moscato,Carpentieri,Gifuni), d’immagini d’epoca (ritrovate negli archivi Luce compresa l’ultima eruzione, quella del ’44, giusto settant’anni fa, con le truppe americane che si avventurano alle falde)e di testimonianze delle persone che vivono quotidianamente in quel luogo di suprema bellezza e natura rigogliosa, già apprezzato da Spartacus e dai suoi gladiatori ribelli, oggi sede di un parco nazionale assai malandato. Negli ultimi cinquanta anni c’è stata un’eruzione di cemento in quella congestionata zona rossa, il pericoloso territorio che potrebbe venire colpito da un prossimo risveglio del gigante dal cono turchino, un tempo il Miglio d’Oro, una strada statale dove s’aprivano incantevoli ville settecentesche. Oggi un agglomerato di cittadine, da Portici a Boscoreale (in tutto sono ventisette comuni dell’hinterland) con la densità abitativa più alta d’Europa (a dispetto della pericolosità del vulcano addormentato), che Francesco Saverio Nitti definì «la corona di spine che attorniano la città di Napoli e che la soffocano».

 

 

Pannone comincia con la preghiera delle «parenti» di San Gennaro in attesa del miracolo dello scioglimento del sangue e continua con il quadro della Madonna portato in processione dagli abitanti di San Sebastiano per fermare l’ondata di lava che sta per travolgere le loro misere case, nell’ultima eruzione con le colonne di fumo e gli sbuffi neri, le pietre che cadono e il fiume incandescente (a oltre 1200 gradi) , registrati dagli aerei militari statunitensi. Il regista prova a interrogare alcuni dei tanti che spendono la loro vita sulle pendici dello Sterminator Vesevo (di leopardiana memoria), da Matteo, un artista visuale abbastanza famoso, a Yole, una cantante neomelodica di Ponticelli, da Maria, lavorante in un’azienda florovivaistica a Giovanni, il fisico nucleare che all’Osservatorio Vesuviano studia le fasi e la dinamica del vulcano.

 

 

Hanno tutti un po’ paura di questo vicino ingombrante, «il delinquente dalle bellissime forme», e la esorcizzano ognuno in maniera diversa, chi comprando un appartamento ad Avellino, chi facendo programmi per un futuro altrove e scontrandosi col problema del lavoro che non c’è. Altri accettando fatalisticamente il destino che verrà, sperando il più tardi possibile. Anche Renzo Piano si è cimentato col tema, progettando il centro commerciale Vulcano Buono, con la sequela di negozi e pareti gialle fluorescenti, un modo per ingraziarsi quell’entità ctonia che legioni di turisti scalano e calpestano, fotografano e respirano.

 

 

Così, tra leggende antiche e inquietudini attuali, luoghi che hanno nutrito miti indimenticabili e prodotto leccornìe enogastronomiche, s’infilano anche le sgangherate prove di evacuazione della Protezione Civile sul reticolo di strade inventate dai sovrani borbonici. Per Pannone « l’allarme Vesuvio è un emblema in Italia dell’indifferenza ma anche dell’impotenza della politica nell’affrontare certe emergenze» ma istituzioni e amministrazioni locali sembrano voltarsi dall’altra parte. Forse conviene condividere quello che s’auspica Matteo, «spero sempre che la catastrofe sia dolce, che non faccia molti danni anche se è un’utopia».