Ha una scrittura minuziosa il nuovo libro di Roberto Ferrucci, Storie che accadono (People, pp. 167, euro 16) dove gli oggetti e i paesaggi urbanistici, i luoghi di una Lisbona della memoria e della nostalgia, cercano di colmare i vuoti lasciati dal più europeo dei nostri scrittori, «il maestro assente», Antonio Tabucchi.

IN QUESTO INSEGUIMENTO, che comincia dentro il tram 28 alla fermata dell’elétrico di Praça São João Bosco, con il sentimento più del flâneur che del reporter classico, l’autore intreccia in uno zibaldone complesso solchi memoriali, ricordi, paesaggi di città, nastri di vecchi vhs, fotografie, pellicole di Wenders, insieme a divagazioni e passaggi dei libri dello scrittore di Requiem, L’angelo nero, Sostiene Pereira, ma anche quella parte di finzione che gli serve per avere mano libera e sfidare la complessità di una condotta intellettuale così eccentrica, conscio che «Quando stai scrivendo un libro apparentemente autobiografico come questo la narrazione richiede una forzatura, dove l’invenzione può aiutarti a rendere più verosimile la storia che stai raccontando».

Se il luogo al presente della narrazione e contenitore è Lisbona, dove l’autore va per lasciare un biglietto sulla tomba dell’amico scrittore insieme a Tirsa, compagna della sua vita ma anche personaggio di un romanzo di cui sottotraccia l’autore tiene in vita nel libro, gli altri scenari sono Venezia, Parigi, e la casa di Vecchiano dove avviene l’ultimo incontro tra i due, siamo nel 1990, quando Ferrucci va a consegnargli la sua tesi di laurea, La nuova narrativa italiana. Daniele Del Giudice. Antonio Tabucchi, relatore Alfonso Berardinelli.

IL TERZO SCRITTORE, quello che chiude il cerchio è proprio l’autore de Lo stadio di Wimbledon, che torna più volte in queste pagine e figura in una foto con Tabucchi in controluce, scattata dalla moglie Zé, la studiosa Maria José de Lancastre.

Lo stile maniacale di Ferrucci, la sua curiosità visiva, che lo porta spesso a fotografare ambienti, oggetti, persone, si apparenta a quello del Nouveaux Nouveax Romanciers e di Jean-Philippe Toussaint, di cui è il traduttore italiano, minimalista e mentale, che insiste molto sui dettagli e la ripetitività, sulle geometrie dei luoghi, le toponomastiche, ma in questo strano ibrido mescola la descrittività ossessiva del suo stile anche all’aperta aneddotica, tenendo in bilico una sorta di ondivaga biografia del ricordo all’immaginazione romanzesca, e nel contempo mantenendo uno sguardo critico sul farsi della scrittura e gli accadimenti della Storia, un libro diverso e complementare a un altro notevole e più volte citato memoir narrativo, Mi riconosci (Feltrinelli) di Andrea Bajani.

Ma il vero incontro è quello con la scrittura, con la parola di Tabucchi, che entra nel vivo del racconto già dal titolo, dimenticato da Ferrucci e ritrovato da una sua lettrice francese a pagina 53 de L’angelo nero: «Dove comincia una storia? Penso che le storie non cominciano, le storie accadono e non hanno un principio. O almeno quel principio non si vede, sfugge, perché era già iscritto in un altro principio, in un’altra storia, il principio è solo la continuazione di un altro principio».

FERRUCCI RITROVA Tabucchi alla Rua de Saudade, la sua voce che dice: «La vostra immaginazione, facendo uno sgambetto al tempo, vi farà pensare che una volta tornati a casa e alle vostre abitudini vi prenderà la nostalgia di un momento privilegiato della vostra vita in cui eravate in una bellissima e solitaria viuzza di Lisbona a guardare un panorama struggente», e quando sta per entrare nel Cèmiterio dos Prazeres ha un ritorno di memoria, «Le lapidi sono sobrie, l’architettura delle cappelle discreta, l’erba dei prati impeccabile, la pace, ovviamente, eterna».

Continua a viaggiare sull’elétrico 28 nella «Lisbona sfavillante di Pereira e di Pessoa, la Lisbona europea del Trattato, la Lisbona multietnica, la Lisbona capitale di un Portogallo con una sinistra vera» e incontra anche il Tabucchi civile, quello che interviene su Le Monde, El Pais, La Repubblica contro i «pagliacci funebri» della politica europea, difende i rom, attacca le destre xenofobe, pensa che «compito della letteratura sia quello di “ficcare il naso dove cominciano gli omissis”», e nel prefare l’edizione francese di Cosa cambia, il romanzo sul G8 di Genova di Roberto Ferrucci, riconosce uno dei «suoi» e scrive che «racconta la realtà tragica di quei giorni per arrivare al cuore di tenebra della Cosa: il fascismo eterno di nuovo presente, che si insedia che soprattutto non ritorna, poiché è sempre stato fra noi».

ANCHE QUESTO nuovo libro scritto a dieci anni dalla sua morte avrebbe detto che «non è né una testimonianza né un romanzo. È un testo letterario nel senso più potente, e secondo il compito più profondo che possa assumere la letteratura».