L’ultimo libro dell’ecologista francese Bruno Latour, Où atterrir? Comment s’orienter en politique, che speriamo presto tradotto in italiano, ruota interamente attorno a una tesi semplice che riguarda direttamente proprio le classi dirigenti americane.

Hanno perfettamente capito che la festa è finita e che il cambiamento climatico presenterà un conto salatissimo agli abitanti di questo pianeta. Un conto di cui abbiamo già intravisto le dimensioni con i recenti tifoni nei Caraibi, in Florida e in Luisiana, per non parlare degli incendi apocalittici, e ancora non domati, in California.

Tuttavia, i petrolieri del Texas, i finanzieri di Wall Street e i palazzinari di San Francisco non si sognano nemmeno di contribuire, sotto forma di tasse, alle deboli e tardive difese del territorio: al contrario, la prospettiva della catastrofe li rende più avidi, più rapaci, più frettolosi nel mettere fine a ogni forma di solidarietà e accaparrare ciò che possono prima che sia troppo tardi. Questo è stato il senso dell’elezione di Donald Trump, un anno fa, e questo è il senso della cosiddetta riforma fiscale che l’inquilino della Casa bianca firmerà nelle prossime ore.

Le élite, scrive Latour, sanno bene che il Titanic affonderà: si affannano a occupare tutte le scialuppe di salvataggio, portando con sé anche l’argenteria, mentre fanno suonare delle ninne-nanne all’orchestra di bordo per distrarre i passeggeri di seconda e terza classe destinati ad annegare.

Per chi avesse dubbi, la legge fiscale approvata definitivamente l’altra notte a tempo di record, provvede la migliore illustrazione di cosa significhi «lotta di classe».

Il grosso delle riduzioni va alle multinazionali, che vedranno non solo ridotte le aliquote che (teoricamente) avrebbero dovuto pagare negli anni scorsi ma saranno anche premiate per aver occultato nei paradisi fiscali le centinaia di miliardi di dollari nascosti fino ad ora al fisco americano.

Per quanto riguarda le famiglie, il 60% dei contribuenti americani riceverà uno sgravio medio di circa 900 euro l’anno, l’1% più ricco risparmierà almeno 45.000 euro l’anno. In realtà, grazie a oscuri codicilli inseriti a notte fonda nel testo, alcune categorie di milionari, tra cui il senatore repubblicano Bob Corker e lo stesso Trump, guadagneranno milioni di dollari dalle nuove esenzioni. Lo 0,1% dei contribuenti (cioè uno su 1.000) beneficerà del 60% dell’ammontare complessivo delle riduzioni fiscali.

Se lo scopo sociale della legge approvata è chiarissimo, il suo effetto politico è ancora incerto. Negli ultimi 40 anni, la piattaforma politica su cui i repubblicani hanno costruito le loro fortune è stata proprio il taglio delle tasse, una strategia che li ha portati a vincere sei delle ultime dieci elezioni presidenziali (sia pure con un po’ di brogli). La determinazione a mostrarsi coerenti con le loro promesse e il tentativo di mostrare ai loro elettori di essere riusciti a combinare qualcosa in 11 mesi di presidenza Trump spiegano la fretta con cui il pacchetto fiscale è stato approvato (la senatrice democratica Elizabeth Warren ha commentato che c’è stato meno tempo per il dibattito in aula di quanto ce ne voglia per scegliere un frigorifero).

Questa volta, però, la ricetta politica sembra non funzionare anche perché i presunti benefici per i contribuenti non saranno visibili fino alla dichiarazione dei redditi del 2019, parecchi mesi dopo le elezioni per il Congresso del 2018. Ad oggi, tutti i sondaggi danno una maggioranza di americani contraria alla riforma: in media sono il 52% i cittadini scontenti di una legge che, in prospettiva, farà aumentare le tasse per la classe media, mentre i miliardari potranno aggiungere qualche altro aereo personale, o castello in Scozia, alle loro proprietà già esistenti. I favorevoli al Tax Cut sono il 33%, cioè meno dei sostenitori duri e puri di Trump, e molti meno di quanti hanno intenzione di votare per i candidati repubblicani nelle elezioni per il Congresso del 2018.

Le elezioni che si terranno fra meno di undici mesi sono la questione chiave per il futuro della presidenza Trump: se si tenessero oggi sarebbero una disfatta di dimensioni storiche per i repubblicani, che sono indietro di 12 punti nei sondaggi. Malgrado le distorsioni del risultato finale dovute al ritaglio truffaldino delle circoscrizioni (i democratici devono ottenere circa il 55% del voto popolare per ottenere il 51% dei seggi alla Camera) lo tsunami anti-Trump sembra crescere di giorno in giorno.

È possibile che, nei prossimi mesi, la propaganda dei fiancheggiatori del partito repubblicano, i tweet di Donald Trump e un po’ di distrazioni di vario tipo (per esempio l’indagine sul ruolo di Putin nelle elezioni 2016, o azioni militari contro la Corea del Nord) distraggano una parte dell’opinione pubblica, ma per la maggioranza repubblicana alla Camera e al Senato nel 2018 la prognosi è riservata.