Nel cuore delle Alpi occidentali, nella parte più a nord del Piemonte, al confine con la Valle d’Aosta e la Svizzera, si trova il fossile di un supervulcano che mostra le sue radici, in un territorio si estende ai piedi del Monte Rosa e sulle province di Vercelli, Biella, Novara e Verbano-Cusio-Ossola. Questa area ha un passato storico importante, conserva ancora ricche testimonianze dell’insediamento Walser di provenienza Vallese, e offre con i suoi scenari montani incantevoli grandi attrattive per gli appassionati di sci, di arrampicata, di escursioni, trekking, rafting, pesca e quant’altro. È anche un territoio molto ricco dal punto di vista artistico, a Varallo e Ghiffa si trovano due dei sette Sacri Monti riconosciuti dall’Unesco nel 2003 come Patrimonio dell’Umanità, ma le opere d’arte sono diffuse ovunque come in un museo all’aperto. Ma la realtà geologica, scoperta grazie a Silvano Sinigoi dell’Università di Trieste e James Quick della Southern Methodist University di Dallas che da oltre trent’anni studiano la geologia del bacino del Sesia, costituisce un unicum al mondo. In Valsesia da oltre cento anni si sapeva infatti dell’esistenza di rocce vulcaniche ma non ne era chiara l’origine e che tutte avessero all’incirca la stessa datazione.
La storia ha inizio circa 290 milioni di anni fa quando sulla Terra esisteva un unico ed enorme continente, la Pangea. La zona della futura Africa, ancora attaccata a quello che è ora il Sudamerica, era teatro di eruzioni vulcaniche disastrose, spesso esplosive. Qui, dopo quasi dieci milioni di anni di eruzioni, dove si era formato un grosso complesso vulcanico è avvenuta la catastrofe: il vulcano è collassato formando una voragine di almeno 15 km di diametro. In poco tempo sono stati sparati in aria più di 500 chilometri cubi di materiale piroclastico, nubi ardenti e ceneri, che hanno sicuramente oscurato il cielo per anni. Circa 100 milioni di anni fa l’Africa, staccatasi dal Sudamerica, iniziò la sua deriva andando poi a collidere con l’Europa e formando con l’orogenesi alpina le nostre montagne. In tempi molto più recenti, circa 30 milioni di anni fa, nell’area che comprende la Valsesia la spinta dell’Africa causò il sollevamento della crosta terrestre facendo risalire le sue parti più profonde con tutto il sistema di alimentazione del supervulcano. Questo è avvenuto in corrispondenza della Linea Insubrica che a partire da Ivrea percorre tutte le Alpi separando la zolla africana da quella europea.

Così, grazie a questo processo, oggi possiamo osservare direttamente quello che succedeva nella crosta terrestre sotto al vulcano fino a profondità di circa 25 chilometri: lo si vede percorrendo in discesa la valle, lungo il fiume Sesia, da Balmuccia (la parte più profonda del vulcano risalita in superficie) fino a Prato Sesia. È una situazione unica al mondo e continuare a studiarla consentirà di migliorare la comprensione dei sistemi magmatici con evidenti benefici per il monitoraggio dei vulcani attivi.
La scoperta del “supervulcano fossile” nel 2009 ha dato l’avvio ad un’attività di divulgazione e conoscenza che ha incrementato l’offerta di turismo culturale. A partire dal 2011 è iniziata l’attività di didattica, conferenze ed escursioni ai principali siti di affioramento del supervulcano con lo scopo, tra gli altri, di realizzare e gestire un geoparco esteso nei territori della Valsesia, della Valsessera, delle Prealpi Biellesi, della Valstrona, delle Alte Colline Novaresi, in corrispondenza dell’area occupata dal supervulcano fossile, ricercando anche il riconoscimento dell’Unesco e il suo inserimento nella rete europea e globale dei Geositi/Geoparchi. Nella vicina area del Parco Nazionale della Val Grande – tra Val d’Ossola, Lago Maggiore e Svizzera – c’era lo stesso intendimento del Parco Nazionale di costituirsi in Geoparco; l’unione delle due realtà, grazie alla candidatura unica, è stata riconosciuta dall’Unesco, nel settembre 2013, come Sesia Val Grande Geopark. Questo Geoparco, che fa parte della rete europea e globale, è il 9° in Italia e il 50° nel mondo e concorre a portare l’Italia al secondo posto nel mondo dopo la Cina per quantità di geoparchi.