Mentre gli scaffali delle librerie sono pieni di libri invenduti sulle biografie dei calciatori e le grandi case editrici continuano imperterrite a pubblicarle, sembra esserci qualche segnale in controtendenza. Bollati Boringhieri punta sul fenomeno sportivo decisamente colto, mandando in stampa Il professore sul ring. Perché gli uomini combattono e a noi piace guardarli (euro 23). Un saggio di ampio respiro di Jonathan Gottschall, professore di inglese che passa dalle aule di insegnamento di un college della Pensylvania alla gabbia metallica dove combatte e sperimenta la violenza fisica delle arti marziali miste e dello sport. Gottschall arriva alla conclusione secondo cui più una società manifesta la violenza fisica in contesti regolati e minore sarà la possibilità che si riversi nelle strade, soprattutto dei quartieri degradati e periferici. Per arrivare alle sue conclusioni Jonathan Gottschall entra nella gabbia per due anni e prova la violenza fisica sul suo corpo: «L’arbitro è in mezzo a noi due, un po’ di lato. Grida a entrambi, prima all’uno poi all’altro: Fighter, sei pronto? Facciamo cenno di sì. Tra un istante la civiltà sarà soppressa, la legge non conterà più nulla e noi due ci incontreremo al centro della gabbia con l’intento reciproco di ammazzarci». Ci riporta alla dolcezza del gesto atletico Ennio Bongiovanni con Piste, pedane e sogni (La Vita Felice, euro 10), una raccolta di poesie dedicate all’atletica leggera sport praticato in gioventù. Il nesso tra poesia e l’atletica lo ricordava Eugenio Montale: «Amo l’atletica perché è poesia». Bongiovanni dedica versi ad Annamaria Sidoti, oro ai mondiali di Atene nel 1997 scomparsa a maggio per un male incurabile: «Te ne sei andata a marciare/ su altre piste azzurre/dove non esistono chilometri/ giudici cronometri/ dove tutto è leggero», Bongiovanni dedica versi anche agli sconosciuti dediti al jogging: «Le ragazze che corrono nel parco/ hanno margherite negli occhi/ primule sulla bocca/viole nei capelli». Agli sportivi che hanno avuto la vita spezzata per scelte politiche ci porta Niccolò Mello con Salvate il soldato pallone (Bradipolibri, euro 14), leggerete degli unici due ebrei che giocarono nella nazionale tedesca, Julius Hirsch ala sinistra che fece grande la Germania, prima che la furia hitleriana lo deportasse ad Auschwitz nel 1943. Diversa la sorte del centravanti Gottfied Fuchs, che fece parte della compagine olimpica tedesca a Stoccolma nel 1912, a differenza di Hirsch fuggì in Canada e si salvò. Il libro racconta della vita e la morte di undici coppie di calciatori, che ebbero la stessa sorte, come Bruni e Staccione che si schierarono con i partigiani e morirono in uno scontro a fuoco o come Dino Fiorini e Mario Pagotto, terzini del Bologna pluriscudettato negli anni Trenta, sotto la guida di Arpad Weisz, il primo seguì i fascisti e fu ammazzato dai partigiani, mentre Pagotto finì internato nel campo di concentramento di Cernauti in Ucraina, dove sopravvisse, e addirittura dopo la Liberazione tornò a giocare nel Bologna. Non sopravvissero, a seguito della tragedia di Superga, i giocatori del Grande Torino, squadra che contribuì molto alla spinta verso un’identità nazionale, come ricordò il regista Mario Monicelli, Bradipolibri pubblica un dizionario enciclopedico del Grande Torino, Fvcg (euro 15) l’unica squadra di club che godeva di un tifo nazionale che superava i campanilismi postbellici. Un dizionario le cui voci sono più istruttive di tante pubblicazioni sul Grande Torino, non di rado impregnante di retorica e prosopopea. Sul rapporto tra flussi di denaro, economia e calcio dal 1898, anno della fondazione della Federcalcio, fino a oggi scrive De Ianni, docente all’università di Napoli Federico II, nel suo libro Il calcio italiano 1898-1981. Economia e potere (Rubattino euro 19). Il ruolo del presidente un tempo coperto dal primo dirigente e oggi svolto dal padrone della squadra che si intreccia con i potentati economici e politici, quello degli allenatori, sempre più chiamati a svolgere un ruolo importante negli asset dirigenziali della squadra e soprattutto il peso e il valore che ha avuto il denaro nel decidere le sorti del calcio italiano, sono i temi prevalenti che Nicola De Ianni affronta dividendo il libro in una parte riservata agli aspetti macroeconomici e una a quelli microeconomici, dai semplici ricavi del botteghino di un tempo a quelli provenienti dalle società per azioni. Il passaggio del potere dalla Federcalcio alla Lega calcio cioè ai grandi club, avvenuto all’inizio degli anni Sessanta, salutata come necessaria innovazione dalla stampa sportiva asservita ai club di proprietà dei grandi industriali del nord, rappresenta un passaggio fondamentale della storia del calcio italiano. L’altro snodo si verifica all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, quando il calcio italiano avvia la sua trasformazione industriale senza essere riuscito a dotarsi di una struttura efficiente e redditizia, il che la dice lunga sull’incapacità di una classe dirigente del calcio italiano di rinnovarsi e mettersi al passo con gli altri paesi europei. Chi vi dice che il calcio non c’entra con la politica mente, perché il calcio produce profitti, il potere economico e quello politico sono sempre andati a braccetto. L’analisi storico-sociale e la fitta documentazione economica di un secolo di calcio, che Nicola De Ianni presenta nel suo libro, lo dimostra. L’impatto che alcuni avvenimenti sportivi hanno avuto sulla società, in determinati momenti storici tra l’Ottocento e il Novecento, dimostrano come lo sport possa avere un significato che va ben oltre lo spettacolo, l’interessante tesi di Lauro Rossi nel libro Sport e società civile in Italia tra Otto e Novecento (Lancillotto e Nausica, euro 20). Il volume, pur non nascondendo le critiche nei riguardi di molti aspetti dello sport e del movimento sportivo contemporaneo, sottolinea come lo sport abbia avuto e potrà avere in futuro funzioni e significati più alti e più nobili di quanto tante volte non è dato di assistere. Il libro si divide in due parti, nella prima affronta tematiche, contesti, realtà, nelle quali lo sport ha avuto una funzione sociale e politica indubbia: il fascismo, l’antifascismo, le deportazioni, la prigionia, le olimpiadi viste dalle più diverse angolazioni e significati. Nella seconda parte l’autore, tra i fondatori della rivista di storia e critica dello sport Lancillotto e Nausica, prende in esame le origini dello sport in Italia, analizzando quelle situazioni nelle quali le discipline sportive venivano utilizzate come veicolo per la satira o la metafora politica, per la denuncia sociale o la formazione dell’ «uomo nuovo». Lauro Rossi passa in rassegna alcuni dei primi «eroi» del movimento sportivo nazionale, soprattutto ciclisti, ginnasti, schermidori: da Ganna a Gaudini, da Girardengo a Guerra. Il libro, tra i più interessanti pubblicati recentemente, si conclude con brevi note e considerazioni ricavate o suggerite da opere significative della storiografia o della letteratura italiana e straniera.