Il governo si avvia alla stretta finale per la conversione del dl Cura Italia, la settimana prossima. Ma il dibattito servirà anche a prefigurare, attraverso l’approvazione degli ordini del giorno ordinamentali che dovrebbero essere votati sia dalla maggioranza che dall’opposizione, i due decreti di aprile: quello sulla liquidità alle imprese e quello sul sostegno alla popolazione. Il primo non sarà varato oggi come previsto: il consiglio dei ministri è slittato e il varo è atteso per domani. Per il secondo ci vorrà più tempo, anche perché è necessario ottenere prima il sì del parlamento a un nuovo scostamento di bilancio.

Ieri Conte, Gualtieri e il ministro per i rapporti con il parlamento Federico D’Incà hanno incontrato in videoconferenza i capigruppo d’opposizione, poi quelli di maggioranza. Stamattina nuovo incontro con l’opposizione: sarà quello decisivo, dal quale si capirà se d’ora in poi la gestione della crisi sarà, se non comune, almeno concordata o se uno scontro che straccerebbe l’attuale parvenza di coesione nazionale è dietro l’angolo. Sulla riunione di ieri i pareri sono opposti. Per D’Incà è stata proficua. Brunetta dissente: «Non siamo per niente soddisfatti».

Il ministro dell’economia Gualtieri non è entrato nel dettaglio. Non ha parlato di cifre. Non ha detto quali emendamenti ordinamentali dell’opposizione è disposto ad accettare. Si è tenuto sulle generali, occupandosi quasi esclusivamente della liquidità per le imprese e glissando su quello che è il vero nodo all’interno della maggioranza, il sostegno alle persone. Il ministro dell’Economia mira a ridurre la differenza di trattamento tra industrie grandi e medie e in prospettiva ha in mente il «modello francese», cioè una garanzia del credito alle imprese coperta dalla Cassa depositi e prestiti. «Abbiamo chiarito – spiega la capogruppo di Forza Italia al Senato Bernini – che noi non siamo consulenti. Se si accolgono nostre proposte deve essere riconosciuto apertamente. E in più deve finire l’abitudine di metterci di fronte al fatto compiuto con le conferenze stampa del sabato notte. Altrimenti torniamo al rapporto che c’è di solito tra una maggioranza e l’opposizione».

Con i capigruppo d’opposizione il ministro ha dedicato poco spazio all’aspetto sociale del prossimo decreto, che dovrebbe essere coperto da un scostamento di bilancio di 40 miliardi che potrebbe però arrivare a 50. Ma proprio quello è il cuore del problema per i 5S e per LeU, che chiedono di aumentare l’indennità attualmente di 600 euro, di allargare l’assistenza alle fasce escluse dal Cura Italia e soprattutto di varare un Reddito d’emergenza, che la capogruppo di LeU al Senato Loredana De Petris definisce «indispensabile» per porre riparo a una situazione di disagio sociale esplosiva.
Il varo di nuove misure di sostegno alla popolazione è certo ma sul reddito d’emergenza il ministro Roberto Gualtieri non appare convinto. Non ne ha parlato nel vertice con le opposizioni. Non lo ha citato tra le misure possibili, intervenendo ieri sera al Tg1 e anche nel question time di mercoledì alla Camera era stato molto attento a non sbilanciarsi. Il problema, probabilmente, deriva dal «pacchetto» di aiuti europei che l’Eurogruppo sta mettendo a punto. Anche se si tratterà di un ventaglio di misure, il che permetterà di fingere che il ricorso al Mes sia quasi un aspetto secondario, proprio il cosiddetto «Mes light» sarà invece l’asse del sostegno europeo. «Light» perché non saranno poste le abituali condizioni draconiane ma l’aiuto verrà comunque subordinato a un impegno a spendere quei miliardi solo per la sanità e l’appoggio alle imprese. Non per l’assistenza.

Proprio sul ricorso al Mes rischia di infrangersi non solo il tentativo di dialogo tra maggioranza e opposizione ma la stessa compattezza della maggioranza. Ieri una nota del Movimento 5 Stelle segnalava che «il Mes non può essere lo strumento adatto: ribadiamo la nostra contrarietà». Ed è un esponente di LeU, Stefano Fassina, a scoprire gli altarini in merito ai 100 miliardi del Sure per la cassa integrazione europea: «È un bluff: si tratta di un prestito da ripagare e ciascuno Stato deve dare garanzie irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili. Inoltre la formula ’fino a 100 miliardi’ significa che si potrebbe arrivare a una somma decisamente inferiore». Lo spartiacque, ancora una volta, sarà il compromesso con l’Europa.