Il lungo tappeto di colore rosso, simbolo di ogni festival del cinema che si rispetti, che era stato steso lungo una delle poche strade di Shujayea liberate dalle macerie, è stato riavvolto ieri sera, a chiusura del Karama-Gaza Human Rights Film Festival (Red Carpet), che quest’anno si è svolto anche a Gaza oltre che nella sua sede ufficiale di Amman.

Su quel tappeto rosso, ripreso mentre veniva disteso anche dall’alto da un drone, finalmente civile e non armato come di solito nella Striscia alla ricerca di prede da colpire ed eliminare, non si sono alternate stelle del cinema tra flash incessanti delle macchine fotografiche, ma gli abitanti di Shujayea.

Uomini, donne e bambini rimasti senza casa e che da quasi un anno si aggirano tra le macerie delle loro case ridotte in detriti, pietre e polvere dalla furia dei bombardamenti israeliani della scorsa estate. Persone che non hanno più un tetto, che vivono dove possono, quando va bene da un parente più fortunato o in aula di una scuola trasformata in rifugio, altrimenti tra le macerie della propria abitazione.

Non hanno un tetto quei palestinesi ma per tre giorni hanno avuto uno schermo sul quale gli organizzatori del Karama Festival hanno proiettato film e documentari, presenti cineasti e filmmaker, sul tema dei diritti, in Palestina e nel resto del mondo. Diritti da non dimenticare e da rivendicare.

Le ultime tre sere per gli abitanti di Shajayea sono state eccezionali, perché hanno spiegato che il mondo non dimentica Gaza.

Non i governi, i presidenti, i premier occidentali e arabi che preferiscono non vedere 1,8 milioni di palestinesi che da otto anni vivono sotto un blocco rigidissimo attuato da Israele e dall’Egitto. Sono le persone comuni che non dimenticano e che ogni giorno rilanciano notizie sulla Striscia, riferiscono ciò che i media internazionali preferiscono ignorare, avviano dibattiti in rete e su skype, avviano iniziative di sostegno in vari Paesi.

Persone, come gli organizzatori del Karama Festival, consapevoli che le macerie di Gaza sono la testimonianza di crimini contro civili incolpevoli, peraltro ammessi qualche giorno fa da decine di militari israeliani che hanno scelto di rompere il silenzio su ciò che è accaduto tra luglio e agosto dello scorso anno.

Nella speranza che quei governi, presidenti e primi ministri scelgano finalmente di aprire gli occhi e di non fingersi più ciechi.