Terzo capitolo della rinata saga delle scimmie iniziata nel 2011 con L’alba del pianeta delle scimmie diretto da Rupert Wyatt vede ancora una volta Matt Reeves alle prese con le vicende di Cesare, Maurice e gli altri primati dopo Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie. Matt Reeves, regista del non dimenticato Cloverfield, non aveva convinto tutti con il suo precedente film.
L’accusa, sostanzialmente, era di non avere elaborato al meglio le premesse insite nella vicenda delle scimmie evolute preferendo adagiarsi su facili conflitti e altrettanto evidenti analogie sociologizzanti. A dire il vero questo terzo capitolo, pur confermando la qualità a dir poco stellare della motion capture che permette alle scimmie di vivere sullo schermo e del «digitale» (ma ci si può permettere di indicarlo con un aggettivo così limitato/limitante?) che conferisce persino alle gocce di pioggia trattenute dal pelo degli animali una impressionante qualità fotorealistica, non fuga affatto i dubbi suscitati dal precedente film.

Messa dunque da parte la qualità globale di un film che ha dato lavoro a 15.000 persone come ci ricordano i titoli di coda popolati da indiani, sudcoreani e altri ancora che non rientrano certo nella retorica trumpiana del rifare grande l’America, resta un impianto narrativo e una scansione metaforica che, pur animata da uno spirito civile forte, sceglie sovente la strada più facile per «lanciare» i propri messaggi. L’incipit del film è forse la cosa migliore. Una violenta battaglia che oppone soldati e scimmie in una foresta che conferma quanto indicato anni fa da John Milius: il Vietnam ha cambiato radicalmente l’immaginario bellico statunitense.

Anche se colte di sorpresa le scimmie, come i Viet-Cong, conoscendo la giungla alla perfezione, riescono a respingere gli aggressori. Gli invasori, però, hanno dalla loro i gorilla di Koba, che per mettersi contro Cesare hanno deciso di aiutare gli umani. Reeves, coadiuvato dallo straordinario lavoro del direttore della fotografia Michael Seresin che riesce a fare risplendere tutte le possibili tonalità del verde macchiandole del nero delle ombre e degli anfratti nei quali umani e scimmie si rifugiano, mette in scena un esodo e un viaggio di iniziazione.

Le scimmie infatti, perdute nelle terre di mezzo, non riesco riescono a raggiungere la terra promessa. Cesare accecato dal desiderio di vendetta nei confronti del Colonnello che gli ha massacrato la famiglia, un Woody Harrelson che gioca a fare Kurtz, si lancia sulle tracce del nemico provocando così la rovina della sua tribù che viene rinchiusa in un campo di concentramento dove i Gorilla di Koba, chiamati «asini», assumono le funzioni di kapò.
Ovviamente nella fittissima traccia citazionistica del film non può mancare all’appello La grande fuga di John Sturges anche se nessuna scimmia fugge a bordo di una moto.

Questo ape-pocalypse now, nel quale il parallelo fra le scimmie e gli ebrei è sottolineato anche troppo, si presenta dunque come una vera e propria nascita di una nazione rielaborata con elementi de I dieci comandamenti ed Exodus. Se la separazione delle acque è sostituita da una mostruosa valanga, la marcia verso la terra promessa, e relative dissolvenze incrociate, come in qualsiasi film biblico, conduce a un set che possiede sin troppe somiglianze con quelli de Il re leone. Certo, i riferimenti a Trump sono evidenti (il muro) e i sintomi di una nuova guerra civile americana tutta da venire pure (anche se Joe Dante c’è arrivato prima di tutti). Il tutto, però, è troppo dichiarato.

Le scimmie, quindi, sono una specie di ritorno al futuro nel quale la bambina Nova (anche qui simbologia molto semplice), priva del linguaggio di coloro che hanno fatto la guerra, si offre come la possibilità di una «nuova speranza». Dotato di un decoupage sin troppo prevedibile nell’alternare una scena d’azione a un dialogo didascalico (bisognerebbe cronometrare le scene per immaginare i discorsi degli executives timorosi di annoiare il pubblico…) e nonostante le sue meraviglie digitali, ci si sorprende più di una volta a pensare con nostalgia un po’ naïf ad Anno 2670 ultimo atto, quinto capitolo della saga cinematografica originale diretto nel 1973 da J. Lee Thompson.